All'inizio del Cinquecento Brescia venne schiantata due volte. Prima fu devastata dai Francesi nel Sacco del 1512, razziata e violata dalle truppe di Gastone de Foix persino all'interno del Duomo e dei luoghi di culto, con migliaia di persone inermi trucidate. E appena la Serenissima riprese il pieno controllo della città, ordinò la spianata, che nel 1516 portò a distruggere qualsiasi edificio si trovasse entro la distanza di un chilometro e mezzo dalle mura, con l'intento di non offrire futuro riparo e nascondiglio a nuovi aggressori.
Ma subito dopo quella doppia lacerazione, Brescia divenne protagonista, a partire dal 1520, di una spettacolare rinascita, trasformandosi in un grande cantiere, anche in virtù della riduzione e dell'esenzione dalle tasse, che consentì di ricostruire chiese, conventi e monasteri. Questo momento di ripartenza collettiva coincise con l'assegnazione di numerose committenze ad artisti veneziani e locali, favorendo una fusione inedita tra il linguaggio dei pittori lombardi, improntato alla memoria del realismo di ascendenza leonardesca, e la scuola veneziana, che si era affermata rapidamente in tutti i territori dominati dalla Repubblica lagunare, con il nuovo classicismo monumentale e tonale di Tiziano, e il trionfo di luce della sua opera manifesto, l'Assunta dei Frari.
Segnate una data. Il 29 settembre 1519 Alfonso I d'Este, signore di Ferrara, scrive una lettera perentoria a Jacopo Tebaldi, suo ambasciatore a Venezia. Ordina che sia inviato un sollecito proprio a Tiziano, perché si adoperi a completare al più presto i lavori destinati alla decorazione dei camerini d'alabastro, dove, nello spazio del proprio studiolo, il duca ha provato a riunire i più grandi artisti del suo tempo. La risposta arriva il 10 ottobre: Alfonso dovrà aspettare, perché invece di dipingere i Baccanali l'artista è impegnato a soddisfare il prelato Altobello Averoldi, nunzio apostolico presso la Serenissima, proveniente da una grande famiglia bresciana, «qui vol far fare una opera de pictura, et magistro Titiano è stato seco in longa praticha sopra ciò, secundo ch'io ho inteso da amici mei, et magistro Titiano non me l'ha nega».
Il dipinto in questione è un polittico, destinato alla chiesa di San Nazaro e Celso. A fine 1520 Tebaldi riferisce al duca che Tiziano ha appena terminato una tavola con «uno Sancto Sebastiano, del quale multo si discorre in questa terra, per essere cosa bellissima». Il pittore ha pattuito con l'Averoldi un compenso di duecento ducati per l'esecuzione dell'intero polittico. Mostra all'ambasciatore la tavola, e questi dice di essere pronto a versargli la stessa cifra solo per il singolo scomparto. Tiziano inizialmente rifiuta, ma poi sembra concordare con il Tebaldi le modifiche necessarie a trasformare il San Sebastiano in un pezzo autonomo. È però il duca a lasciar cadere la cosa, per non commettere «ingiuria» verso l'Averoldi. La poderosa macchina pittorica (278 x 292 cm.) viene così completata entro il 1522 e messa in opera nella chiesa bresciana, com'è riportato sulla colonna a terra nel San Sebastiano: «Ticianvs faciebat / M.D.XXII».
L'idea di un polittico a scomparti, corrispondente a un modulo arcaizzante, viene di fatto superata non con l'unità spaziale delle diverse scene, ma con la fusione di luce, colore e direzioni del movimento, che convergono nella scena centrale della Resurrezione di Cristo, in cui Tiziano riadatta l'esempio del Laooconte, che era stato riscoperto nel 1506 e collocato nei Giardini del Belvedere da Bramante, come fondamento dei Musei Vaticani, mentre il San Sebastiano in basso a destra cita puntualmente lo Schiavo che lotta di Michelangelo, ora al Louvre.
È dunque un grande saggio di immersione di Tiziano nell'arte classica e dell'Italia Centrale, maturato probabilmente attraverso l'osservazione in studio di calchi che riproducevano gli originali. La scena è ambientata all'alba, e l'idea nuova del Polittico Averoldi è proprio nella combinazione di figure ricavate dalla statuaria e personaggi mutuati invece dallo stile di Giorgione, immersi in una luce aurorale e nell'atmosfera della notte che va svanendo.
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