A pochi giorni dalla selezione della cinquina dei finalisti (che avverrà il 10 giugno, mentre il 2 luglio si conoscerà il nome del vincitore), intorno al Premio Strega è iniziato il solito balletto di voci, intrighi, veleni. Quest'anno si aggiunge l'incognita Elena Ferrante che qualcuno (Sandro Veronesi) non avrebbe nemmeno voluto in gara. Nonostante gli sforzi degli organizzatori per restituirgli lo spirito delle origini e il varo di un regolamento nuovo di zecca, lo Strega sembra sempre più somigliare alla politica. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Russo, direttore editoriale di Neri Pozza, che concorre con Il genio dell'abbandono di Wanda Marasco. «Di tutto si parla meno che della qualità dei libri in concorso, che dovrebbe essere il tema centrale» lamenta Russo. «Si continua ad aggirare l'unica domanda che ci dovremmo porre: qual è il romanzo di maggior valore letterario tra i 12 in lizza?».
Eppure le lotte di potere continuano a farla da padrone. Che ruolo gioca la sua casa editrice?
«Negli ultimi decenni tutto si è svolto sul terreno della conquista di pacchetti di preferenze. La qualità letteraria pare divenuto un aspetto secondario. Colpa del predominio della cultura pop, che non distingue più tra alto e basso, tra letteratura e narrativa d'intrattenimento. Altrove, a esempio negli Stati Uniti, la distinzione è ancora ben presente. Il Pulitzer e il National Book Award vengono assegnati tenendo conto del fatto che i vincitori rappresenteranno nel mondo la cultura e la letteratura americane. Anche in Italia un tempo era così. Esisteva una società letteraria attiva, consapevole del proprio ruolo».
Non le pare però che oggi il suo discorso sia una sorta di battaglia contro i mulini a vento? E chi giudica la qualità?
«Il giudizio sul valore artistico spetta ai critici, agli esperti. Le giurie popolari finiscono sempre per far prevalere le opere d'impegno civile o etico a quelle di valore artistico. Questo, ovviamente, non è il caso dello Strega».
Quanto vale in termini di vendite la vittoria allo Strega, oggi? E che chance di vittoria assegna al libro di Wanda Marasco?
«Vale molto. In passato, anche milioni di copie, oggi non più. Quanto al romanzo della Marasco, se i giurati premieranno la qualità letteraria, credo abbia buone possibilità di piazzarsi perlomeno nella cinquina. È un libro di rara bellezza, maturo, giocato su un impasto linguistico vitalizzante, sapientemente giocato tra italiano e napoletano. Quella della mescolanza tra lingua nazionale e idiomi regionali è storicamente una delle principali cifre stilistiche della nostra letteratura».
È d'accordo col nuovo regolamento, introdotto per sostenere i piccoli e medi editori?
«Ne comprendo le intenzioni ma non credo serva a raggiungere l'obiettivo di premiare la qualità».
Che ne pensa dell'hastag #io voto lanciato su Twitter da Stefano Petrocchi, direttore della Fondazione Bellonci, promotrice del premio, che pare un invito al voto palese?
«Sono favorevole a patto che venga motivato. Ne guadagnerebbe la trasparenza. Ciascuno potrebbe farsi un'idea dei criteri utilizzati, valutarne la fondatezza».
Un pronostico?
«La competizione è aperta alle sorprese. Ho letto solo alcune delle opere in gara. Mi è piaciuto il libro di Covacich. Speriamo che a vincere siano comunque il Premio Strega e la nostra letteratura».
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