Chi fu e cosa rappresentò Gabriele d'Annunzio? Il dibattito è ancora aperto, fatto che risulta incredibile vista la mole incontrollabile di scritti a lui dedicati. Eppure... Lo scrittore attende una rivalutazione completa della sua opera. Non solo derivativa, accusa spesso rivolta ai suoi romanzi. Ma i romanzi, forse, non sono né belli né importanti quanto i suoi racconti. Riletti oggi, appaiono ancora all'avanguardia, ad esempio per la conoscenza diretta della nascente dottrina antropologica. In quanto al poeta, beh, non basta una vita per «attraversarlo» tutto, e non c'è grande autore del Novecento che non l'abbia studiato, anche solo per rifiutarlo.
Claudio Siniscalchi prende in esame il lascito politico di Gabriele d'Annunzio in un agile ma profondo libro che si colloca a metà strada tra la biografia e la storia delle idee (D'Annunzio custode del disordine, prefazione di Marcello Veneziani, Oaks editrice, pagg. 120, euro 15). Affrontato con equilibrio il tema del rapporto con Mussolini (fu il fascismo a essere dannunziano), Siniscalchi lega la figura di D'Annunzio al più ampio movimento noto come Rivoluzione conservatrice. In Italia, coincide con il desiderio di mandare all'aria la borghesia che pretendeva di riprendere i propri commerci come se la Prima guerra mondiale non fosse mai stata combattuta. In nome di cosa? Di un disordinato ritorno all'ordine, un ordine classico, fatto di onore e patria. Sul nazionalismo di D'Annunzio il discorso si fa più scivoloso. D'Annunzio era per la nazione, non per il nazionalismo, che considerava un'idea straniera, imposta agli italiani per cancellarne il tratto più importante: la genialità che nasce dalla varietà e dalle antiche autonomie.
Questo è il retroterra ideologico della Carta del Carnaro, la costituzione fiumana promulgata nel settembre 1920. La Reggenza del Carnaro, come provano le correzioni autografe sul manoscritto definitivo, doveva essere una confederazione, modellata su quella elvetica. Ma anche questo è ancora da studiare.
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