
Nella storia re, condottieri, leader religiosi, politici e dittatori (figure che talvolta coincidono) ci hanno abituato a un certo tipo di narrazione, in cui le loro esistenze e imprese sono state presentate nell'ambito di una sorta di economia provvidenziale, per dirla manzonianamente, o di avvento, per dirla messianicamente, o di destino, per dirla un po' superomisticamente. Perché, in effetti, i «potenti» si sono sempre creduti dei superuomini, dei salvatori dell'umanità; del resto, Nietzsche ci ha anche avvertito dell'eterno ritorno dell'uguale... Ed ecco che l'uguale ritorna. I «potenti» di oggi si muovono su un terreno apparentemente diverso, quale è il mondo (sempre apparentemente) immateriale delle nuove tecnologie connettive, digitali, spaziali, elettroniche, futuristiche. E la narrazione che costruiscono e offrono di sé è molto simile a quella dei loro predecessori, con i comuni mortali che, beh, possono ammirarli e narrane le gesta, come accadeva coi i cavallier e i santi...
In libreria è appena arrivata una serie di volumi che si inserisce nel filo di questa narrazione. Tre hanno lo stesso autore, Chris McNab: sono le biografie di Elon Musk, Bill Gates e Jeff Bezos (Gremese, pagg. 208, euro 16). A sua volta, Gates si racconta in Source Code. I miei inizi (Mondadori, pagg. 338, euro 22). Sia chiaro, questi libri sono gustosi e ricchi di aneddoti: chi abbia la curiosità di conoscere i nuovi potenti e i loro obiettivi sarà soddisfatto. E ci sono delle annotazioni critiche: McNab nota, a proposito di Musk, come sia un personaggio a volte controverso, parlando del quale è arduo «separare i fatti dal mito». Mito che comincia in Sudafrica, con una infanzia e dei genitori «tutt'altro che convenzionali». Un uomo «considerato indelebilmente una delle incarnazioni del Sogno Americano» in realtà è nato a Pretoria (nel 1971), è stato un ragazzino bullizzato pesantemente, ha avuto un rapporto pessimo con il padre («rigido e autoritario»). La madre Maye, modella e imprenditrice, in una intervista ha spiegato di avere capito come il figlio fosse «diverso» da quando aveva tre anni: «È solo che ragionava con me così bene, e io non sapevo come facesse a capire le cose». Agli esordi in America, la sua start-up era così sgangherata che, per collegarsi al wi-fi, Elon trapanò il muro per infilare un cavo ethernet che attaccò a un router al piano sottostante. «Ha iniziato da zero e ha da lì costruito tutto attraverso l'azione delle sue mani, della sua intelligenza e della sua fatica, e grazie alle équipes di cui era l'autorità apicale». Non solo ha sempre avuto una «capacità erculea di lavorare su orari estremi» ma soprattutto è sempre stato mosso da «un sentimento di intolleranza e di sfida verso qualsiasi cosa che facesse minimamente balenare la possibilità del fallimento». Nemmeno se si parla di andare su Marte. Ha spiegato: «La mia mentalità è quella di un samurai. Preferirei commettere seppuku piuttosto che fallire». E la ricchezza? «È chiaro che Elon Musk non è soltanto un imprenditore. Per molti i versi, i successi finanziari delle sue imprese sono incidentali». Infatti «energia, spazio, trasporti e intelligenza artificiale possono sembrare imprese separate, ma nella mente di Musk abitano uno stesso spazio, aprendo inoltre costantemente a nuove possibilità di interazione. Essenzialmente, il portfolio di Musk punta a ottimizzare il futuro umano tramite la tecnologia». Intelligenza artificiale, satelliti, auto elettriche, Twitter, SpaceX...
Questo legame tra futuro, tecnologia, ambiente, esplorazione spaziale, avventura, aura da benefattori dell'umanità e fiumi («incidentali») di soldi si ritrova anche in Bezos e Gates. Avverte subito McNab: «Sembra lecito affermare, senza il rischio di scadere nell'agiografia, che Jeff Bezos sia uno degli individui più straordinari dell'era moderna». Il «negozio di tutte le cose» che immaginò a partire dai primi siti di vendita on line di libri, quando nacque nel 1994 era un garage... Anche Bezos ha la passione per lo spazio, ha sempre amato leggere libri (di fantascienza soprattutto, ovvio), si è comprato il Washington Post e progetta un orologio che dovrebbe segnare l'ora esatta per diecimila anni. Quando si dice guardare avanti. Il cognome lo ha preso dal patrigno Miguel (con cui è sempre andato d'accordissimo) e la madre Jackie ha raccontato che quando portò Jeff a 2 anni e mezzo su una barca rotante «mentre gli altri urlavano di gioia per i movimenti della giostra, Jeff era mentalmente concentrato sulla meccanica della giostra stessa, osservando attentamente, e in silenzio, il sistema di cavi e pulegge in azione». Poi tentò di smontare la culla. «Chiaramente il ragazzo era affascinato dal modo in cui il mondo era assemblato, e capì meccanicamente che avrebbe potuto plasmare quel mondo tramite i propri sforzi». Un po' più grandicello, adorava vagare per il ranch dei nonni e mimare il computer parlante dell'Enterprise di Star Trek, tanto poi da inventare Alexa... Quanto ai fallimenti, è riuscito a superarne vari, uscendone sempre più ricco e ignorando per anni gli insuccessi (il primo profitto, un centesimo per azione, arrivò solo nel 2001), mantenendo saldo il suo mantra - «il cliente al primo posto» - insieme un'indole da innovatore a tutti i costi («con fervore quasi iconoclasta, Bezos tendeva ad adottare il cambiamento, a prescindere dalle conseguenze»). Ma Bezos è presente nel nostro mondo ben più profondamente: «Amazon Web Services (Aws) è il più grande fornitore al mondo di servizi di cloud computing e live streaming - un'entità commerciale che fornisce l'infrastruttura digitale a migliaia di aziende e agenzie governative e a miliardi di transazioni, e la cui portata tocca la nostra vita quotidiana sotto più aspetti di quanto riusciamo a concepire».
Del resto, riusciamo a concepire un mondo senza software? «Possiamo affermare con certezza - scrive McNab - che il mondo digitale moderno è in gran parte costruito su Microsoft». E «la storia di Microsoft è inseparabile da quella di Bill Gates» che «ha costruito Microsoft fino a farla diventare l'azienda informatica più importante del mondo con una focalizzazione, un'ambizione e un'intelligenza che restano leggendarie». Mettendo da parte la filantropia, i successi e i miliardi, come sia nato quel primo «codice sorgente» lo racconta Gates nella propria autobiografia. Insieme alla competitività della nonna a carte, le ambizioni dei genitori benestanti (la madre chiamava i figli al mattino con l'interfono e una volta, durante un viaggio, aveva preparato per Bill e la sorella «una sorta di giornale di bordo»: «Ogni giorno dovevamo compilare due pagine su quello che vedevamo»...
), la tragedia della morte del migliore amico alle superiori, l'amicizia burrascosa con Paul Allen (con cui fonda Microsoft), la scrittura del software come rifugio dal mondo ed espressione creativa di sé, i detrattori, i prof che non lo hanno aiutato, la Silicon Valley che era intrisa di controcultura, i primi contatti (e scontri) con Steve Jobs, le menzogne fra smanettoni. «Questa era l'alba della rivoluzione del personal computer. Tutti noi non facevamo altro che fingere». Resta un dubbio: che il Sole debba ancora sorgere.
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