RomaChe intende fare Barroso? E cosa aspetta Van Rompuy (il neo-presidente della Ue) a protestare con forza? È solo l’avvio di una durissima interrogazione che l’ex-premier belga Guy Verhofstadt - attuale capo dei liberali europei - ha messo nero su bianco ed in cui si attaccano pesantemente Benedetto XVI, il cardinal Bertone, monsignor Babini e persino il frate cappuccino Raniero Cantalamessa, predicatore pontificio. Chiarendo che, prima di ogni altra cosa, occorre eliminare ogni tipo di ostacolo, diplomatico o legale, che permetta ai sacerdoti pedofili di nascondersi dietro lo speciale status della Santa Sede.
A Bruxelles, nella sede dell’Europarlamento, son parecchi che hanno fatto un salto sulla sedia all’apparire dell’interrogazione (che solo domani si saprà se andrà in aula, accettata o meno dall’ufficio di presidenza). Perché di mormorii e di allusioni ce n’erano stati all’apparire di articoli di stampa dedicati alla questione. Ma mai ci si attendeva un attacco così frontale a quella che Verhofstadt (57enne premier di una coalizione socialisti-liberali tra il ’99 e il 2007, una somiglianza incredibile con Elton John) definisce «la gerarchia vaticana» e in cui, a pié di nota, si chiama direttamente in causa il segretario di Stato cardinal Bertone per aver osato ipotizzare una relazione «tra omosessualità e pedofilia» anziché condannare i tanti sacerdoti che hanno perseguito abusi sessuali su numerosi minori.
Che Verhofstadt esploda periodicamente, a caccia di pubblicità, è un fatto. Non più tardi di un paio di mesi fa, quando a Parigi si discuteva di interesse nazionale, se ne uscì con un «c’è del marcio nella Repubblica francese» che mandò Bernard Kouchner su tutte le furie. Ma stavolta le cose sembrano un po’ diverse. Possibile gli siano arrivate alle orecchie le parole di monsignor Babini sulla somiglianza delle accuse indirizzate alla Chiesa cattolica con quelle di «un attacco sionista»? O che si premurasse di cercare le parole di fratel Cantalamessa per il quale gli attacchi erano simili a quelli del «più violento antisemitismo»? Poco probabile. Mentre è vero che poco più di un mese fa - a questione aperta - ci fu un suo compagno di cordata dell’Alde (Liberal-democratici europei) che rivelò come a suo modo di vedere «non sarebbe un tabù che Ratzinger possa rendere testimonianza ai giudici tedeschi di quanto sa sui casi di pedofilia denunciati in Germania». Chi era l’antemarcia? Luigi De Magistris, l’ex pm eletto con Di Pietro all’Europarlamento. Che in una trasmissione tv disse anche che si trattava di una occasione da non perdere in quanto «quando i fatti avvengono all’interno delle mura vaticane scatta una giurisdizione domestica e quindi non è cosa facile far luce sulla verità». E proseguì dicendo che, «considerato che non è la prima volta che su queste vicende viene tirato in ballo lo stesso Papa, a mio avviso si pone la necessità per la Chiesa stessa di una maggiore credibilità verso i suoi fedeli». E davanti all’intervistatore che gli chiedeva cosa dovesse fare il Pontefice se un giudice avesse sollecitato una sua testimonianza, chiudeva: «Nessuno è al di sopra della legge!».
In sostanza, il sospetto che le carte siano circolate da Roma a Bruxelles pare avere qualche fondamento. E forse a questo punto poco deve stupire la crudezza con cui Verhofstadt chiede tanto a Barroso che al Consiglio Europeo (dunque ai capi di Stato e di governo di cui Van Rompuy è il presidente), di esprimere un netto giudizio di condanna senza ambiguità, respingendo i tentativi giustificazionisti del Vaticano o le sue velleità di nascondere ulteriormente le cose. Chiede altresì di respingere e condannare seccamente i parallelismi tra omosessualità e pedofilia e i riferimenti agli attacchi antisemiti.
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