La debolezza di Leonardo è la sua forza (anche in tv)

La serie con Aidan Turner mette in luce il lato umano di un genio che volle competere con Dio

La debolezza di Leonardo è la sua forza (anche in tv)

Ha fatto discutere, e fa discutere, per il successo di pubblico e per le licenze, la serie tv Leonardo diretta da Dan Percival e Alexis Sweet e interpretata da Aidan Turner e Matilda De Angelis (con Freddie Highmore, Giancarlo Giannini, Robin Renucci). Già la presenza di una figura femminile deuteragonista, Caterina da Cremona, che Leonardo avrebbe ucciso, crea perplessità, come altri arbitri storici per accrescere e potenziare l'interesse narrativo. La cosa non piace per esempio a Corrado Augias: «Leonardo arrestato per omicidio è solo un bel titolo da prima pagina. Tanto più che il vecchio binomio tra amore e morte ha sempre funzionato. Questa volta però a danno dello stesso protagonista, falsandolo in modo così grossolano da mandare in malora anche l'utilità sociale dell'opera romanzesca che per i romantici giustificava le licenze narrative». È un commento severo. A me disturbano piuttosto i disegni e i dipinti improbabili, invece di convincenti fac simili, di facile elaborazione, e gli interni del Castello Sforzesco con affreschi e cortili di epoca successiva a quella di Leonardo, pur nel racconto in costumi e ambienti ricercati. L'esperienza del volo, per esempio, avviene in un cortile circolare di metà Cinquecento, trent'anni dopo la morte di Leonardo. A un certo punto si vede una scala a spirale di disegno manieristico, nello stile del Vignola (1507-1573). Ma sono, nel vivace e animato racconto, particolari di interesse marginale, peccati veniali, e non compromettono una sceneggiatura sapiente e serrata, che intende illustrare la psicologia di un uomo versatile, curioso e appassionato che, attraverso la pittura, cerca di interpretare il mondo e comprenderne le ragioni ultime. È un modo per rendere la storia appassionante oltre le fonti dell'epoca.

Vasari ci dice di Leonardo tutto quanto è utile per capirne il carattere, il temperamento, l'umore, e ci racconta anche la sua continua ansia di fare altro. Scrive Vasari: «volse la natura tanto favorirlo, che dovunque e' rivolse il pensiero, il cervello e l'animo, mostrò tanta divinità nelle cose sue». Ecco, la parola «divinità». La competizione di Leonardo è con Dio, e la «divinità» delle sue creazioni è quello che pare immediatamente agli occhi di Vasari: «che nel dare la perfezzione, di prontezza, vivacità, bontade, vaghezza e grazia, nessun altro mai gli fu pari». È un'ammissione importante per Vasari, allievo di Michelangelo, ostile a Leonardo, che Vasari considerava il più grande degli artisti. Michelangelo, per quanto grande, aveva il limite della sua perfezione. Leonardo invece aveva una visione così ampia e così aperta che «nessun altro mai gli fu pari». «Trovasi che Lionardo per l'intelligenzia de l'arte cominciò molte cose, e nessuna mai ne finì». Leonardo non voleva portare a termine, realizzare un pensiero, riprodurre una realtà in modo meccanico, con una mimesi perfetta, «parendoli che la mano aggiugnere non potesse alla perfezzione de l'arte ne le cose che egli si imaginava»: la perfezione era nella sua mente, la mano poteva trascrivere l'essenziale di quello che lui aveva sentito e intuito, non tutto, non era importante riprodurre tutto. «Con ciò sia che si formava nella idea alcune difficultà tanto maravigliose, che con le mani, ancora che elle fussero eccellentissime, non si sarebbono espresse mai». Le mani non erano sufficienti a raccontare il suo sogno, la sua visione, la sua ansia d'infinito.

Tutto questo è già chiaro nella perfetta definizione di Vasari, che aveva colto la vera attitudine di Leonardo, così diversa da quella di ogni altro artista, accanito nel cercare la perfezione. Quando il primo sistematore della grande pittura del Rinascimento, Bernard Berenson, alla fine dell'Ottocento iniziò ad affrontare Leonardo, anche lui, come Vasari, colse una diversità evidente: «Leonardo è l'unico di cui si possa dire, e in senso assolutamente letterale: nulla toccò che non tramutasse in bellezza eterna». Anche Berenson ci pone la questione di Dio: «Qualunque cosa tocchi Leonardo diventa bellezza eterna, che si tratti della sezione di un cranio, della struttura di una foglia, dell'anatomia di muscoli, col suo istinto della linea e del chiaroscuro egli li trasfigurò per sempre in valori che creano la vita».

È l'obbiettivo dichiarato della serie tv, che lo trasferisce nella interpretazione umanissima e sensibile di Aidan Turner. I disegni di Leonardo concorrono con la vita, sono vivi. Leonardo crea vita, non riproduce la realtà. E Sebastiano Serlio, il grande studioso di architettura, conclude con una definizione che rispecchia quanto ho fin qui descritto: «Nel vero la teorica sta nell'intelletto, ma la pratica consiste nelle mani». Intelletto per i pensieri, pratica nelle mani: «perciò lo intendentissimo Leonardo Vinci non si contentava mai di cosa ch'ei facesse, e pochissime opere condusse à perfettione: e diceva sovente la causa esser questa: che la sua mano non poteva giungere all'intelletto».

È il limite che ci trasmette lo sceneggiato. C'è una perfetta concordia nell'interpretazione di Leonardo con le fonti storiche. Nel ricostruire la sua vita, Vasari ci racconta alcuni altri passaggi fondamentali. «Adunque mirabile e celeste fu Lionardo, figlio di Ser Piero da Vinci, che veramente bonissimo padre e parente gli fu, nell'aiutarlo in giovanezza. E massime nella erudizione e principii delle lettere, nelle quali egli arebbe fatto profitto grande, se egli non fusse stato tanto vario et instabile». Leonardo poteva essere un grande scrittore, un grande letterato, ma era «vario et instabile». Appena cominciava a fare qualcosa, subito si distraeva e pensava di fare altro: «percioché egli si mise a imparare molte cose e, cominciate, poi l'abbandonava». Torna costantemente questa idea dell'incompiuto, dell'imperfetto che nel film è fragilità, instabilità: «Ecco nell'abbaco egli in pochi mesi ch'e' v'attese, fece tanto acquisto, che movendo di continuo dubbi e difficultà al maestro che gl'insegnava» - è tipico di Leonardo il dubbio, creare difficoltà, generare incertezza in chi gli insegna - «bene spesso lo confondeva». Il maestro si confondeva davanti a un allievo tanto critico. «Dette alquanto d'opera alla musica»: e qui emerge il suo mestiere primario, il cantautore. Leonardo sa che la musica è la prima espressione della creatività dell'uomo. La scrittura, l'alfabeto hanno seimilacinquecento anni, la pittura dodici-quindicimila, la musica invece è il primo modo con cui, attraverso la voce, l'uomo esprime un'emozione, un sentimento. Il dipinto rimane sulla pietra, nel mondo primitivo, la musica e la danza si esauriscono nell'hic et nunc, accadono nel momento in cui le vediamo, poi spariscono, non rimangono. Sono due arti straordinarie, effimere, come l'uomo.

È difficile raccontarlo; per questo la serie tv si arricchisce di spunti narrativi avventurosi in cui l'azione e le relazioni (anche quelle inventate), come dire i tempi di Leonardo, siano lo scenario per le sue idee, anche diminuendo la dimensione intellettuale dell'artista e dello scienziato che fece parlare Benedetto Croce e Giovanni Gentile di un Leonardo filosofo, quale possiamo trovare nel volume appena pubblicato da La nave di Teseo. All'inizio della quarta puntata, le sceneggiato restituisce a Leonardo la pienezza del suo pensiero, efficacemente parafrasato: «Ho passato tutta la mia vita cercando di avvicinarmi alla verità di Dio, attraverso la bellezza, cercando di definire e comprendere gli aspetti dell'anatomia umana con la precisione di un'equazione matematica. Ho studiato innumerevoli volti, cercando di non cogliere solo l'apparenza, ma chi sono realmente. Ho cercato nella verità di Dio anche la mia. Ho sentito la bellezza di Dio in fugaci momenti e sono convinto che viva in tutti, eppure non l'ho ancora trovata in me».

Questi pensieri chiedono di calarsi in un racconto per umanizzare Leonardo, non renderlo astratto e volto solo al pensiero e all'arte, ma dentro la vita, in una plausibile rappresentazione. È un'interpretazione discutibile, ma coerente sul piano narrativo, nel tentativo di restituire il genio alla quotidianità, ai rapporti con il potere, ai tempi della vita. L'obiettivo è trasferire il genio nell'umano.

Senza diminuire la tensione assoluta del rapporto con Dio. Ma il Leonardo di Dan Percival e Alexis Sweet è un uomo con le sue debolezze. Si consoli Augias. Non si vede il ridicolo. Questo Leonardo è umano, troppo umano.

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