Decreto Alfano: chissenefrega dello sciopero dei blogger

A un certo vittimismo di categoria stile mi-straccio-le-vesti, roba insomma da giornalisti, ora si aggiunge un’antistorica e anche un po’ patetica - mi scuseranno - pretesa di separatezza da parte dei cosiddetti blogger, i proprietari cioè di blog e di siti internet che per il prossimo 14 luglio hanno indetto uno sciopero: in pratica significa che non aggiorneranno i loro blog con ciò ritenendo - mi scuseranno ancora - che gliene freghi qualcosa a qualcuno. Loro la chiamano «giornata di protesta contro il decreto Alfano e l’emendamento ammazza-internet», che poi sarebbe quella parte del decreto (comma 28, lettera a dell’articolo 1) secondo il quale «Per i siti informatici le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono». In pratica, cioè, dovrebbero comportarsi come il resto della stampa ed esserne più o meno equiparati: e peggior bestemmia per loro non esiste. A peggiorare le cose c’è che a promuovere l’iniziativa c’è un collega dell’Espresso con non reputo per niente stupido, Sandro Gilioli, ma che ogni tanto si riposa anche lui.
Che cosa vogliono costoro? È semplicissimo: vogliono che la rete resti porto franco e che permanga cioè quella sorta di irresponsabile e anarchica allegria che era propria di una fase pionieristica di internet e che era precedente a quando «la rete» non era ancora divenuta ciò che è ora: un media rivoluzionario, ma pur sempre un media, dunque la propaggine di altri media anche tradizionali che sono regolati dalla legge come tutto lo è. Nel credersi una razza a parte, invece, i blogger si credono alternativi anziché complementari a tutto il resto, si credono vento anziché bandiera: in lingua italiana significa che vogliono continuare a poter fare l’accidenti che vogliono e quindi a scrivere e a ospitare qualsiasi «opinione» anche diffamatoria, qualsiasi sconcezza o tesi incontrollata e appunto declinata di ogni responsabilità. Simbolo ne è poi l’anonimato dietro il quale milioni di cuor di leoni abitualmente lanciano sassate e nascondono la tastiera. In teoria non dovrebbe essere così già ora: le leggi sulla diffamazione infatti già riguarderebbero anche loro, dovrebbero rispondere cioè di insulti e falsità come chiunque altro. In pratica non succede niente del genere: e siamo al punto, l’unico che conta, che cioè non va bene, così non funziona. In rete circola ogni cosa e risalire a un responsabile è un’impresa disperata o inutile, soprattutto se alla fine ti spunta solo un incolpevole ragazzino che pensava di scarabocchiare i muri della sua cameretta virtuale o poco più. Va da sé che lo sciopero abbia tonalità insopportabilmente apocalittiche (e il bavaglio, e ci vogliono zittire, il solito martirio) e va da sé che la maggioranza degli aderenti non pare aver capito neppure di che cosa si sta parlando. A uno come Gilioli, poi, io non chiederei un silenzio di cui non importa a nessuno: chiederei che spiegasse come risolvere dei problemi che indubbiamente ci sono. Sennò deve capire che i blogger ne escono come dei reazionari e basta, altro che la rivoluzione e la rete e tutte le menate. Così pure, sono abbastanza certo che Gilioli la vedrebbe diversamente se fosse capitato anche a lui quello che capita a me da anni solo perché un giorno ebbi l’impudenza di criticare Beppe Grillo; gli racconterei, cioè, la lotta contro i mulini a vento per impedire che ogni notte, sull’enciclopedia Wikipedia, sotto la voce che porta il mio nome, dovesse leggersi che assumevo abitualmente stupefacenti o fossi sessualmente perverso; l’impossibilità di prendersela con siti o blog che avevano server nel Wisconsin, perdere tempo e soldi con avvocati costretti a inseguire fantasmi internettiani che diffondevano notizie false e orrende ma che qualcuno faceva sempre in tempo a leggere, archiviare, rilanciare. Provi a digitare il mio nome in chiave di ricerca, Gilioli, e poi mi dica che cosa dovrei fare secondo lui: tenendo ben conto che non ho mai querelato nessuno in vita mia né vorrei farlo.
Ma a parte me, che ora non c’entro un tubo, il problema più generale resta un altro: i blogger o sono ragazzini o sono ragazzini dentro, spesso scelgono di non filtrare nulla e di non moderare il proprio blog e di fottersene insomma del codice civile e penale che riguarda quella retroguardia che è il resto del mondo. Ma un irresponsabile deve restare tale ovunque bazzichi, sorry: la tua libertà non può andare a discapito della mia, la regola non cambia mai, neppure in internet. Gli scioperanti temono che un semplice obbligo di rettifica possa «disincentivare e soffocare la comunicazione on line non solo nei blog, ma anche nelle piattaforme di condivisione dei contenuti». Sciocchezze. Gli assennati non hanno niente da temere. Ne hanno i cretini, gli anonimi e i disinformati.

Quando mi è capitato d’incrociarli o di beccarli, poi, erano quasi sempre personcine che semplicemente non avevano il coraggio di dare un nome e un cognome alle proprie opinioni. Qui, nella retroguardia, li chiamiamo vigliacchi.

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