Delitto Reggiani, la testimone è in Romania

Risolto il mistero sulla scomparsa della testimone chiave nel processo per il delitto Reggiani. Emilia Neamtu, rom di 49 anni, si trova in Romania dal Natale scorso e afferma di non essere stata citata per l’udienza. Anzi, di non essere nemmeno al corrente del dibattimento in Corte d’Assise, a Roma.
La donna è stata rintracciata e intervistata dal quotidiano romeno Adevarul nella sua abitazione in via Unirii ad Avrig, cittadina della Transilvania, dove si trova senza nessun tipo di protezione. La supertestimone aveva raccontato ai magistrati di avere visto Nicolae Romulus Mailat, imputato per omicidio volontario, mentre trasportava il corpo esanime di Giovanna Reggiani lungo il vialetto che conduce al campo rom. Ma lunedì al processo nell’aula bunker di Rebibbia, dove era attesa dalla giudici, non si è nemmeno presentata.
Al cronista di Adevarul, che le chiede se sapeva del processo in corso in Italia, Neamtu risponde sconcertata: «No, ma dove si svolge? A Sibiu (città della Transilvania, ndr) o a Bucarest?». Per poi aggiungere: «Non ho ricevuto nessuna citazione. Ma vorrei andare a testimoniare». A quel punto interviene nella conversazione il figlio Gherasim, con cui vive la supertestimone: «Non andare da nessuna parte. A meno che non paghino gli italiani». Nell’intervista, pubblicata anche online, la donna precisa inoltre di trovarsi in Romania dal Natale dello scorso anno perché «mi hanno lasciato andare i carabinieri». Neamtu ribadisce nella sostanza al giornalista romeno la versione fornita ai magistrati italiani, corredandola però di particolari inediti. Subito dopo aver incontrato Mailat la sera stessa del delitto, Neamtu (che non sa l’italiano) spiega di essersi imbattuta in un cinese che lavorava a un distributore di benzina e che parlava in romeno. Alla domanda se sia vero che in passato sarebbe stata ricoverata in ospedale psichiatrico, ribatte: «Dio non voglia, so anche leggere». E nega pure il legame di parentela con Mailat, contrariamente a quanto dichiarato ai magistrati cui aveva spiegato di essere sua cugina in quanto le rispettive nonne erano sorelle. «Eravamo solo vicini di casa, abbiamo vissuto nella stessa città», sostiene. Mentre si trovava in Italia, rivela inoltre, si guadagnava da vivere «raccogliendo nella spazzatura ferro e alluminio per poi rivenderli».
Nell’articolo sono riportate anche le dichiarazioni dei vicini di casa della supertestimone, secondo i quali la donna prega spesso in chiesa per Mailat ad alta voce e dimostra di essere ossessionata dal suo ricordo. «Da quando è tornata dall’Italia - questo il racconto - ha ripreso le sue vecchie abitudini. Cammina per la città con in mano la Bibbia, ogni tanto si inginocchia per strada e si reca in chiesa a pregare per Romulus (il secondo nome dell’imputato, ndr), gridando “Mailat ha ucciso”. Poi si inginocchia e fa un inchino".

Come spiega Cornel Toma, il capo della redazione italiana di Adevarul, «noi non stiamo dalla parte di Mailat, ma il modo con cui i magistrati italiani hanno trattato la testimonianza di Neamtu è quantomeno discutibile».

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