«Mia madre è morta e non provo nulla»: l'ultimo, inclassificabile volume pubblicato da Paolo Sortino, Demone custode (Polidoro), si apre con una frase di questo tenore. Difficile non pensare subito allo Straniero, al celebre «Aujourd'hui maman est morte» con cui inizia il romanzo di Camus. Si tratta, tuttavia, di una pista falsa. Nelle pagine successive appare evidente che lo scopo della narrazione - e dell'intera esistenza del protagonista - è esattamente l'opposto. Il demone scelto «nell'età più tenera» scongiura il rischio «di potersi svegliare una mattina e trovare il mondo brillante, tirato a lucido, senza traccia di dolore, con le strade ripulite dalla sofferenza». Demone socratico, dunque, intenzionato a sorvegliare una lealtà verso se stessi che potrebbe scomparire in ogni istante, travolta dalla quotidianità con il suo corteo di compromessi. Da dove provenga questo diktat morale è presto detto: a trasmettere il senso di una dignità inscalfibile che non ha niente di borioso o di rigido e che anzi mostra tratti spiccatamente anticonformisti sono stati i genitori, ora entrambi scomparsi.
La madre, in particolare, si era concessa la libertà di scegliere come compagno un uomo colpito dalla poliomielite, per cui se il figlio rivela una tendenza ai comportamenti idiosincratici non batte ciglio. Non lo fa il giorno in cui, adolescente, si abbandona a un funambolico autoerotismo e nemmeno quando, ormai studente universitario, fa volare il manuale di storia della letteratura sulla testa del direttore di dipartimento che con accademico snobismo aveva appena accusato gli uditori che affollavano l'aula magna di essere «troppo educati». Più precisamente, Sortino parla di «genoma»: «la mia è la storia di un essere che ha trascorso la vita cercando di rimediare agli errori del genoma con atti sulla coscienza». Una specie, dunque, di destino intergenerazionale che dal nonno antifascista (ma non vendicativo e anzi solerte nell'aiutare i suoi ex-aguzzini caduti in difficoltà), attraverso la madre inafferrabile, giunge fino a lui, prolungandosi, si spera, nella figlia Fiammetta. «Questa bambina che è vostra, io ce l'ho solo in affidamento. Tutte le famiglie sono orfanotrofi...». E poi: «Non capivo perché gli adulti avessero impostato la vita con regole che non convenivano a nessuno», riflessione che con il passare degli anni genera un'articolata denuncia che tocca gli aspetti più vari della condizione umana; si va dalle incursioni selvagge nella Storia («Guardate che belli che sono i ragazzi che presero Fiume. E guardate come si spegne il loro sguardo quando apprendono che alla guida del fascismo non sarà D'Annunzio ma quel cane di Mussolini») al ridicolo suscitato dai sepolcri imbiancati - scrittori, politici, giornalisti - che quando si tratta di denunciare l'ingiustizia non fanno mai nomi («Una giustizia rovesciata. Se nel Diritto le colpe sono sempre personali, le vostre accuse sono sempre generiche...»).
Romanzo familiare indifferente al futile buon gusto letterario quanto smisurato nella protesta contro l'ordinaria cadaverizzazione dell'esistenza, Demone custode è anche
un'autobiografia dove un narcisismo anti-darwiniano e una mistificazione in pieno giorno, quindi innocua e pienamente rivendicata, pagano più dell'onestà a buon mercato, pelosa e prevedibile, che infesta oggidì le librerie.
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