Dietro la satira di Benigni c'è un comizio elettorale per il Partito democratico

Biennale Democrazia di parte. Dal comico toscano a Zagrebelsky la parola d'ordine è una sola: demonizzare Silvio

Dietro la satira di Benigni  
c'è un comizio elettorale  
per il Partito democratico

Dopo l’antipasto di Roberto Benigni alle prese con il VI canto dantesco del Purgatorio, la II Biennale Democrazia di Torino è entrata nel vivo con l’intervento del suo presidente Gustavo Zagrebelsky, ieri mattina al Teatro Regio. «Simboli e diaboli», questo il titolo della colta disquisizione del giurista, ha più di un punto in comune con la sagace divagazione del comico toscano in chiave di pura «militanza» antiberlusconiana. Il presente sarebbe dominato da una forma di propaganda che agisce su una «superficie liscia», una spugna acritica che assorbe un meccanismo meramente pubblicitario e privo di valori autentici. Unici territori franchi sono, questa è una tesi interessante, il folklore (che è semplice, dunque per tutti) e l’arte contemporanea (elitaria, sperimentale, impossibile da dominare).
Peccato che i conti tornino, come sempre solo per qualcuno. Cosa ha fatto Roberto Benigni venerdì sera se non trascinare il «suo» popolo verso l’appiattimento, «governandone i contenuti» (parole del Giurista), sbeffeggiando le istituzioni e trasformando gli uomini in «masse fanatizzate», unite dall’unico scopo, neanche troppo simbolico, di abbattere il tiranno, che un’altra parte del popolo, evidentemente di serie B, giudica adatto alla propria rappresentazione?
Il concetto di Democrazia secondo la Biennale ricalca un meccanismo perfettamente oliato: one man show, senza interlocutori oppure passivi. Quello di mercoledì è stato un perfetto comizio elettorale mascherato da satira, e proprio non ci si capacita del perché la Regione Piemonte abbia voluto supportare economicamente la campagna del candidato del centrosinistra con i soldi di tutti i contribuenti. La comicità di Benigni e la dissertazione di Zagrebelski hanno un altro punto in comune: non riescono a uscire dalla cronaca per trasformarsi in storia poiché la potenza del contingente impedisce una qualsivoglia lettura serena e imparziale di un’epoca demonizzata per pura ostilità preconcetta. Se «il prezzo che pagano i popoli quando si mettono nelle mani di qualcuno dicendogli: vai, noi ci riconosciamo in te perché tu ti riconosci in noi» (sempre il Giurista), fa davvero impressione osservare i volti di una folla trascinata dalle prediche su pulpiti altrettanto pericolosi, che fortunatamente allo stato attuale risultano ancora minoritari.
Che a nessuno venga in mente, come era accaduto due anni fa, di criticare le sparute presenze non schierate a sinistra in questa Biennale. Oggi l’intellettuale di destra, di nucleo futurista o terzopolista, è bene accetto, a patto che sia completamente disorganico dall’area Pdl-Lega, in quanto partecipa alla demonizzazione del male assoluto del nostro Paese che di nome fa Berlusconi. Inutile obiettare che questa non è democrazia, quando il politico più votato dal popolo italiano è trattato alla stregua di un dittatore, né spiegare che nelle democrazie occidentali essere indagato non significa essere colpevole, ma forse non vale più nemmeno la pena di spiegarlo.
Venendo a questioni più «pragmatiche», gli organizzatori di Biennale Democrazia dichiarano di non aver speso molto: 850mila euro. Come hanno fatto a risparmiare? Semplice, pagando quasi nessuno e non solo quei relatori disposti a rinunciare al compenso in nome della Democrazia, ma neppure i membri del comitato scientifico, i numerosi organizzatori e coordinatori, reclutando centinaia di volontari, che spesso sono giovani senza lavoro. «Sobrietà» è la parola d’ordine imposta dal presidente Zagrebelsky, che in soldoni significa «gratis», per il bene della comunità pensante torinese.
Il programma di questa mattina prevede l’atteso intervento di Eugenio Scalfari, che partendo dall’Italia di Francesco De Sanctis ribadirà la nostra atavica predisposizione al manzoniano «donabbondismo».

Noi, non lui, saremmo dei cacasotto, codardi e servili con i potenti, spietati contro i deboli, opportunisti e voltagabbana. È in arrivo il solito sermone sulla decadenza contemporanea, di un Bel Paese che non merita quella Democrazia giusta e unilaterale che trova posto solo nei salotti illuminati e progressisti.

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