Dimettersi per la Georgia

Non riesco a non inquadrare la dipartita di Paolo Guzzanti anche sotto un profilo prettamente estetico o estetizzante. Un profilo, voglio dire, che dovrebbe inorgoglire sia lui che il partito da cui divorzia, o questo almeno mi piacerebbe. Per farla breve: Guzzanti ha lasciato il Partito della libertà per ragioni ideali, e non c’è dubbio su questo. Non ha lasciato per passare a qualche concorrenza, o per fondare un partitino ricattatore, o perché gli hanno negato una poltrona, o perché non gli hanno assunto la moglie o raccomandato l’amante, insomma per una qualsiasi delle logiche che spesso regolano il solito mercato delle vacche.

Nessuno, tra coloro che sappiano un minimo le cose, può negare che le ragioni della dipartita sono proprio quelle che ha detto lui: il sostegno governativo a Vladimir Putin e poi il ruolo oggettivamente notarile a cui è ridotta la democrazia parlamentare. E dal Pdl possono dirgli di tutto, non entro nel merito, io parlo da esteta: basta che non gli dicano che si è dimesso per ragioni «risibili» come ha fatto Sandro Bondi. Ecco, risibili no.

Lasciateci credere che nel Parlamento italiano ci sia stata una disputa vecchio stile e addirittura delle dimissioni, nell’anno 2009, per una faccenda di care e vecchie idee. Poi, subito dopo, provate a immaginarvi un Mastella o un Bassolino che si dimettano per via della Georgia.

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