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Il diritto alla morte diventa un libro

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Che cos’è la morte? La domanda è antichissima, le risposte sono infinite. L’unica novità che il nostro tempo, il tempo della postmodernità, ha introdotto in proposito consiste semplicemente nel silenziare la domanda. De morte ne loquamur, della morte non si faccia parola. Essa è una realtà indicibile per esser detta, troppo inguardabile per esser fissata nel volto. Alla morte si fa riferimento perciò preferibilmente per perifrasi oppure essa diventa oggetto di una delle tante manifestazioni buoniste di cui è disseminata la nostra strada di uomini solidali e politicamente corretti. Nessuno, ad esempio, di fronte all’obiettivo di una telecamera, avrebbe il coraggio di passare per antisociale ed egoista, rifiutandosi di donare gli organi propri o di un parente, al momento del decesso. O meglio, come recita il tesserino (donor card), inviato agli italiani dall’ex ministro della Sanità, Rosy Bindi, «dopo la morte». Espressione quanto mai generica, visto che, secondo gli autori del testo legislativo, con «dopo la morte» si intende un prelievo di organi da un donatore ancora roseo e caldo, con il cuore che batte spontaneamente ed il sangue che circola.
La domanda, dunque, si ripropone: che cos’è la morte? Oppure, per essere ancra più precisi, quando si verifica? E qui le opinioni sembrano, come si è detto, davvero infinite. La Chiesa cattolica, ad esempio, con un intervento dell’allora prefetto per la Dottrina della Fede, Joseph Ratzinger, ha ribadito, all’inizio degli anni Novanta, la propria convinzione circa la puntualità della fine della vita. La morte cioè avviene in un ben preciso momento temporale. Dove prima regnava la vita, ora essa è venuta a mancare. La morte si configura dunque come un punto in un sistema di assi cartesiane.
Diverso l’atteggiamento di molte correnti del pensiero bioetico contemporaneo, contrassegnate da una sorta di visione esistenzialistica del mondo, in base alla quale al concetto di morte viene sostituito quello del morire. Un processo, non un evento ben delimitato nel tempo e in quanto tale difficile ad essere isolato e deifnito. A questo tipo di ragionamento di tipo, diciamolo francamente, piuttosto meccanicistico, si contrappone il pensiero cattolico o comunque di ispirazione aristotelico-tomistica, in base al quale l’anima è e continua ad essere la forma sostanziale del corpo. Quella che i greci chiamavano psiche, fa, in altri termini, tutt’uno con la realtà corporea, al punto che il sistema fisiologico dell’organismo costituisce un tutto integrato. La vita non è più perciò prerogativa del buon funzionamento di un solo organo, per quanto importantissimo, come il cervello, a appartiene all’uomo nel suo insieme. Nessuna parte esclusa.
È evidente che una simile prospettiva, recentemente condivisa e fatta propria anche importanti pensatori che militavano su sponde opposte, come il tedesco Hans Jonas, ribalta totalmente il problema della donazione di organi, che Rosy Bindi aveva creduto sbrigativamente di risolvere con la sua già citata card.


La realtà è molto più complessa e variegata e lo sta a dimostrare questo interessantissimo volume che Paolo Becchi, docente di Metodologia della scienza giuridica presso la Facoltà di Giurisprudenza della nostra città e Rosangela Barbaro, dottore di ricerca presso la medesima università, hanno realizzato, raccogliendo una serie di contributi di diverso orientamento ed ispirazione.

Rosangela Barcaro e Paolo Becchi, Questioni mortali. L’attuale dibattito sulla morte cerebrale e il problema dei trapianti, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2004, pag. 330, euro 26.50.

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