DISALLEANZA NAZIONALE

Un autentico processo di stagionatura politica ha sue peculiari esigenze dialettiche, talvolta aspre e sgradevoli, sempre laboriose, nel senso che assorbono e consumano energia e generano tensioni. Da quando è emersa dal sottosuolo italiano, Alleanza nazionale per la prima volta ha un piccolo passato di potere, una scheggia di secolo sotto il segno del governo, allora libera umori e malumori e concentra nel tempo gli scuotimenti che altri partiti, di rito antico e accettato, hanno diluito in decenni. In pochi mesi, la nuova destra democratica ed europea ha sviluppato la conflittualità che centristi (democristiani), laici e socialisti diluivano in decenni. Per non dire dei comunisti d’infelice memoria, che usavano la conflittualità interna come un turbocompressore e più avanzavano più smascheravano più fucilavano. Adesso nessuno fucila nessuno, quando proprio si vuole eccedere in decisionismo ci si limita ad «azzerare».
Sia chiaro, nemmeno il vecchio Msi era immune da frazionismi e correntismi, ma le contrapposizioni fra Almirante e Michelini, fra gli stessi Rauti e Fini riguardavano ed erano intelligibili soltanto ai «camerati»: nel ghetto delimitato dall’arco costituzionale tutti i gatti erano neri.
Adesso i gatti miagolano liberamente e tutti li ascoltano e i cronisti li inchiodano perché riescono a decifrare il loro rumoroso ronfare.
Le critiche, anche aspre e personali, degli alti dirigenti di An al presidente Fini hanno precedenti a tutti noti negli altri partiti, c’è una ricca aneddotica sui cappuccini galeotti e su intercettazioni imbarazzanti. Ma il mal comune non deve indurre nemmeno un quarto di gaudio, né i dirigenti di An possono menar vanto di questa loro prima volta. Ma poi, è proprio la prima? Sono mesi che nel partito guidato da Gianfranco Fini la tensione sale e i contrasti di natura propriamente politica ed ideologica si mescolano a personalismi, a irrisolte gelosie, a frazionate fedeltà a totem diversi. È un brutto momento per Alleanza nazionale e sarebbe sciocco nascondere che molti suoi elettori e simpatizzanti sono sconcertati.
Febbre da crescita, suggeriscono gli ottimisti. Può darsi, sarà certamente così, anche perché le espressioni usate dai critici collaboratori di Gianfranco Fini presuppongono una comunanza di vita, una commistione di privato e di politico che non è misurabile con la semplice analisi lessicale. Matteoli, Gasparri e La Russa sono cresciuti con Gianfranco Fini, insieme hanno tracannato il calice dell’esclusione, insieme hanno atteso, insieme hanno affrontato le responsabilità del governo. Insieme, oggi, sperimentano la diversità d’opinione sulle necessità di una realtà difficile, con una congiuntura che avrebbe sfiancato chiunque. Il gruppo politico ristretto genera conflitti, proprio come la famiglia.
E allora? In nome di un minimalismo umoral-familistico dobbiamo assolvere i dirigenti di An, che peraltro non hanno bisogno della nostra assoluzione?
I dirigenti politici hanno precise responsabilità nei confronti di chi crede in loro, di tutti quelli che hanno visto nella riemersione della destra democratica un rafforzamento del senso dello Stato. I dirigenti di An, generali o colonnelli che siano, hanno responsabilità anche nei confronti della Casa delle libertà.

La coalizione si basa pure sull’apporto di una certa idea dell’Italia e di una sicura consapevolezza della tradizione. Nella Cdl oggi si discute di casa comune, ma dovrebbe essere chiaro che il gruppo dirigente di An non potrebbe entrarvi col semplice titolo di merito di aver distrutto la propria.

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