La dittatura della Borsa ha sconfitto la politica

Non sono più soltanto gli oppositori del governo a parlare di tirannia, lo dice anche Confindustria. Questo esecutivo realizza gli obiettivi dei poteri economici globalizzati

La dittatura della Borsa ha sconfitto la politica

L’Italia è sottomessa a una dittatura? A dirlo esplicitamente non sono più solo gli oppositori del governo Monti, ma i suoi stessi sostenitori a partire dalla Confindustria. Ormai il concetto di «dittatura», riferito all’ambito finanziario, ha assunto una connotazione positiva. Fino ad oggi siamo stati abituati a sacralizzare la democrazia, quale depositaria dei valori e dei diritti fondamentali della persona, e a condannare qualsiasi forma di dittatura proprio perché l’opposto della democrazia. Da quando con un colpo di stato finanziario, sotto il bombardamento incontenibile della speculazione che si traduce nel tracollo della Borsa e nell’impennata dello spread e il colpo di grazia della crescita illimitata dell’indebitamento pubblico, è stata commissariata l’intera classe politica in Grecia e in Italia imponendo al vertice del potere rappresentanti graditi ai poteri finanziari globalizzati, solo poche voci hanno pubblicamente denunciato la nuova dittatura.

Il fatto che si tratta di esponenti politici, economici, finanziari o intellettuali ostili a Papademos e a Monti, ha fatto che sì che la denuncia della dittatura finanziaria fosse tacciata come faziosa o quantomeno discutibile. Ma dallo scorso sabato 11 febbraio con la pubblicazione di un fondo sulla prima pagina del Sole 24ore, l’organo della Confindustria che è schierato in prima linea a sostegno di Monti, dal titolo «La dittatura dell’emergenza» a firma di Carlo Bastasin, il concetto di «dittatura» è stato sdoganato uscendo dal cono d’ombra e dalla dimensione del dubbio per assurgere alla luce splendente della verità positiva e della necessità costruttiva.

L’editorialista legittima il concetto della «dittatura dell’emergenza» rapportato alla situazione in Grecia, scandita dagli scontri di piazza e le dimissioni nel governo mentre il Parlamento si apprestava a votare la manovra finanziaria imposta dalla troika Ue, Bce e Fmi. Ma ci spiega anche che dal momento che «Atene rimarrà sotto la tenda ad ossigeno per anni» perché nel 2020 il debito pubblico resterà al 135% del Pil, «i partner europei chiedono ai partiti greci di impegnarsi formalmente a rispettare le condizioni anche dopo le elezioni generali di aprile».

Si chiede cioè ai partiti che compongono la maggioranza che attualmente sostiene l’ex governatore della Banca centrale greca Papademos, di sottoscrivere nero su bianco che - a prescindere dal loro orientamento politico - dovranno condividere anche nella prossima legislatura la drastica manovra che contempla il taglio dei salari minimi, delle pensioni, dei posti di lavoro nel settore pubblico, delle spese della Sanità, Stato sociale e Difesa. Si stenta a credere che il commissariamento si spinga al punto da vanificare di fatto il valore stesso delle elezioni che definiscono gli equilibri interni alla democrazia, imponendo anticipatamente la maggioranza che governerà il Paese e vincolando i partiti che ne faranno parte a far proprie delle decisioni che, da un lato, stabiliscono nei minimi dettagli la vita dei cittadini ridotta al limite della sopravvivenza per volontà dei banchieri e, dall’altro, annullano qualsiasi differenza o dialettica ideologica o semplicemente politica. Ed è proprio qui che si tocca con mano la realtà della nuova dittatura finanziaria.

Ebbene lo stesso sta accadendo in Italia. Il commissariamento dei partiti e del Parlamento è implicito anche nella recente dichiarazione di Monti secondo cui il processo delle riforme è «irreversibile» perché i partiti che lo sostengono «non hanno alcun interesse a smantellare le misure visto che il costo politico viene pagato da questo governo»! Sarebbe come a dire che io, Monti, faccio il lavoro sporco che i partiti non possono né vogliono fare perché si tradurrebbe nella loro bocciatura alle urne, quindi posso stare tranquillo perché tanto io non sono stato né eletto né intendo rispondere del mio operato agli elettori dal momento che i miei mandanti e i miei interlocutori non sono gli italiani bensì i poteri finanziari globalizzati. La nuova dittatura finanziaria semplifica l’attività del governo perché si è anticipatamente certi delle scelte che faranno i partiti anche a dispetto di iniziative che potrebbero apparire conflittuali. Ormai sia Monti sia Napolitano, il grande manovratore della dittatura finanziaria, sono sicuri del fatto che il Parlamento si è ridotto ad organo avallante delle decisioni del governo.

A Helsinki Napolitano ha assicurato che ci sarà l’accordo anche sulla riforma del mercato del lavoro «perché non è interesse né del Paese né dei partiti rovesciare il tavolo». E i 2.400 emendamenti presentati al disegno di legge sulle liberalizzazioni? Il leader dell’Udc Casini sostiene che potrebbero essere ritirati tutti! E candida Monti a capo del governo che guiderà l’Italia dopo le elezioni del 2013 indicato dal nuovo «Partito degli italiani» che potrebbe (il condizionale è d’obbligo visto che è dal 2007 che propone un nuovo soggetto politico di centro con un nuovo nome) diventare addirittura il partito di maggioranza relativa. D’altro canto se anche ai partiti che in Italia sostengono l’attuale governo, così come sta avvenendo in Grecia, verrà chiesto alla vigilia delle elezioni di sottoscrivere anticipatamente l’insieme della manovra ispirata dai poteri finanziari globalizzati, chi meglio di Monti potrebbe garantirne l’esecuzione? Gli Stati e le banche straniere creditrici hanno ragione: esigono delle solide garanzie per il riscatto degli oltre mille miliardi di euro investiti nei nostri buoni del Tesoro e che corrispondono a circa la metà del nostro indebitamento pubblico. Ma chi, come, dove, quando e perché si è indebitato? Non importa! L’unica certezza è che noi italiani siamo condannati a fare sacrifici per ripagare questi debiti contratti da uno Stato dissipatore, corrotto e inefficiente.

Siccome è presumibile che non lo faremmo volontariamente e allegramente, allora è meglio metterci il bavaglio e la

camicia di forza. Si chiama dittatura. Ma non è più una forma di governo deprecabile. All’opposto è positiva e costruttiva perché realizza gli obiettivi dei poteri finanziari globalizzati. Viva la dittatura!

twitter: @magdicristiano

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