Il dolore e noi

Chiedete a lui, chiedete a Sergio Zavoli che finalmente è insediato alla Vigilanza. A leggere i giornali pare che a questo Paese non sia mai interessato altro che il dolore del prossimo: ma lei soffrirà o non soffrirà? Sì, no, moltissimo, per niente, salvo concludere che nessuno sa niente di preciso. E però primari e politici e vescovi e giornalisti e parrucchieri e sommozzatori si stringono attorno alle sensazioni terminali di una persona in totale stato di incoscienza, e perfetto, va bene: resta da capire come sia possibile che trattasi dello stesso Paese che figura, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ultimo nella classifica europea dell’utilizzo di farmaci anti-dolorifici, il più ostinatamente impermeabile alla cosiddetta medicina del dolore. Nel 2001 è stata finalmente fatta una nuova legge per agevolare l’uso degli oppiacei, eppure la situazione stenta a cambiare: resiste un atteggiamento come timoroso di medici, malati, familiari e religiosi.

So queste cose per esperienza personale, ma anche grazie a Sergio Zavoli che nel 2002 scrisse su questo tema.

Il dolore inutile, un libro mirabile con scritto in retrocopertina: «Se penso che nel nostro Paese la questione del dolore è venuta al pettine da così poco tempo, ne traggo una grande amarezza. L’indolenza scientifica, la lentezza burocratica, il moralismo: quanti ammalati, quale moltitudine hanno penalizzato?».

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