Roberto Scafuri
da Roma
Lui, racconta Fausto Bertinotti, si è formato sulla «cultura dellaut aut: o il salto in avanti di civiltà oppure la crisi, la catastrofe». Ma qui alla Camera si fa poca filosofia e la catastrofe è racchiusa nel grigiore quotidiano. Si combatte perciò in trincea, senza abbandonare la postazione: Fausto difatti non lo farà per tutta la giornata, in segno di rispetto. Ma le gradazioni di grigi paiono estenuanti: coltri di visi anonimi e spaesati, votazioni (tre) rese anchesse anonime dal quorum irraggiungibile, quattro passi nel Transatlantico per sgranchirsi le gambe, con il pericolo scontato di inciampare (fin troppo) nei cronisti. «A questo potresti pensarci tu - raccomanderà Bertinotti a Francesco Caruso che lo segue da presso -, hai il fisico per guardarmi le spalle...».
La prima giornata di «Fausto presidente» - «presidente della Sinistra europea, prego» - trascorre «interlocutoria e preparatoria», come la definirà lui. Passa cioè con lorecchio attaccato alle radioline del Senato, ai resoconti, sommari e sconcertati, di quanto accade nel frattempo a Palazzo Madama. Bertinotti si fa raccontare i risultati, non commenta. «Però è da lì che dipende tutto», sussurra. Quando gli si fa notare la pattuglia di schede bianche, probabili «voti ora in vendita», corregge scherzando: «Se è per questo, la campagna acquisti era già cominciata...». Bando anche alle ricostruzioni e ai retroscena, Bertinotti si fa ironico: «Ci hanno insegnato che la ricerca della verità assoluta porta al male, per cui occorre fermarsi assolutamente alla realtà relativa, quella istituzionale...».
Si ride, scorrono baci e abbracci, incontri in Transatlantico e in «Corea» (il corridoio opposto, riservato ai parlamentari). I primi «auguri sinceri» gli arrivano dallex compagno di Prc, Oliviero Diliberto, che lo incrocia di buon mattino. Poi Piero Fassino, Giuliano Amato (primordi di vertici istituzionali?), Pierluigi Bersani, Francesco Rutelli, Alfonso Pecoraro Scanio e una Giovanna Melandri in svolazzante abitino ton sur ton lilla (Fausto le parla a lungo, e la pronostica - vestito a parte - «sottosegretario alla Presidenza» di Prodi). Tanti leader e semplici parlamentari salutano il ritorno di un «comunista» sullo scranno più alto di Montecitorio. Persino un drappello di commessi, incorso in un malinteso allingresso per le scolaresche (Fausto aveva provato a rompere lingessato protocollo) lo attorniano per porgere spiegazioni e scuse.
Intanto Bertinotti passa oltre, nelle sortite dallaula concede ai giornalisti scampoli di letture e filosofia, la sua passione per Walter Benjamin, il «più grande pensatore di tutti i tempi», e quella per i grandi classici dellebraismo messianico. E poi parla del noir tratto dalla storia francese che ha sul comodino, assieme al libro di Chiarante sui cattolici e il comunismo. Un pensiero va anche a don Dossetti, la cui lapide Bertinotti ha visto a Marzabotto sul prato che ricorda gli eccidi del 44: «Raccontano che Dossetti sia rimasto lì due giorni prima di venire allAssemblea costituente. Ma vi rendete conto? Capite che vuol dire essere, come dice San Bernardo, nani seduti sulle spalle di giganti?».
È ispirato, il presidente in pectore. Il briciolo demozione avvertito allingresso è stato smaltito da un pezzo, «daltronde non mi capita di essere molto teso, quando il risultato di una cosa non dipende da me». Gli chiedono di Pietro Ingrao, storico predecessore sullo scranno di Montecitorio, e Bertinotti gli esprime ancora una volta tutta la gratitudine, «ci ha molto aiutato, Pietro». Specifica di non aver letto le biografie dei presidenti della Camera comunisti, Iotti e Ingrao. «Di Pietro potrei scriverla, però... È un maestro, per lui conta la prospettiva di fondo e lhic et nunc, limmediatezza politica: partire dal presente, non saltarlo mai, ma non farsene irretire...».
Sarà una parola, con questi chiari di luna paludosi. Alla Camera le votazioni vanno a rilento e a ritroso, molti deputati dellUnione sono a Palazzo Madama per seguirne le traversie. Beppe Fioroni, mariniano doc, ci scherza su: «È vero, dovrei tornare a votare Bertinotti, se no poi ci radia...».
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