Parole che sibilano. Distinguo farisaici. Molti se e molti ma. Le mailing list dei magistrati sono intasate in queste ore da messaggi che commentano l’aggressione al premier. Messaggi che, almeno in parte, sono in sintonia con gli umori più giacobini e iconoclasti del Paese. C’è un’Italia che in fondo giustifica Massimo Tartaglia, perché Berlusconi se la sarebbe andata a cercare con le sue provocazioni, con i suoi attacchi ai giudici, con la politica del suo governo. Un fiume in piena che attraversa anche il mondo della magistratura.
«Un’ultima riflessione - scrive Bruno Spagna Musso, magistrato in Cassazione -: siamo proprio sicuri che quanto accaduto ieri sia un gesto più violento del comportamento tendente ai respingimenti dei clandestini in mare, al pestaggio nelle carceri di alcuni detenuti e anche alle sole ma terribili parole di chi definisce “eversivi” i magistrati e “prete mafioso” il vescovo, gli uni e gli altri che si appellano ai valori, costituzionali e al tempo stesso religiosi, dell’uguaglianza e del rispetto della persona umana?».
Certo Spagna Musso mette le mani avanti: non ci sono dubbi, il gesto di Tartaglia è da deprecare, ci mancherebbe. Però poi le parole finiscono col tratteggiare un’altra responsabilità, forse anche più grave di quella dell’uomo che ha scagliato la miniatura in faccia al Cavaliere: «Il dissenso - spiega il magistrato - di per sé non può essere da solo fonte di violenza, mentre può esserlo, ed è su questo che occorre riflettere, “arringare” il popolo, mitizzandone la maggioranza politica di cui è espressione, per renderlo (finto) compartecipe di riforme a ogni costo, idonee a minare l’attuale assetto costituzionale di equilibrio fra poteri».
Insomma, se le parole hanno un senso la violenza è figlia di chi alza i toni e vorrebbe a tutti i costi modificare la nostra Carta fondamentale. Il dito è puntato contro il premier che farebbe leva sulla manipolazione della volontà popolare fino a provocare l’esasperata reazione di chi non ci sta. Naturalmente, tutte le opinioni sono legittime, anche quelle delle toghe, nessuno si permette di mettere in discussione la libertà di pensiero dei magistrati, ma fa un certo effetto vedere analisi così dure, quasi spietate su un premier che sarebbe il motore unico dell’odio che attanaglia il Paese.
Le riflessioni di Spagna Musso circolano nella mailing list di Magistratura democratica e dei Movimenti riuniti, le correnti di sinistra al parlamentino dell’Associazione nazionale magistrati. Area, questo è il nome del circuito, ha centinaia di iscritti che mantengono un carteggio digitale fittissimo. Ed esprimono un pensiero robusto, quasi le linee di una politica giudiziaria che si ritrova poi nelle sentenze e nelle inchieste di alcune frange della magistratura italiana. Così, per esempio, quel riferimento a Tartaglia, quel minimizzare l’aggressione di piazza Duomo davanti a comportamenti ritenuti implicitamente più gravi come i respingimenti dei clandestini in mare, aiuta a comprendere quel che accade sulla frontiera di molte Procure: nei giorni scorsi il Giornale ha raccontato quel che accade a Siracusa. Qui i pm hanno messo sotto indagine per violenza privata gli ufficiali della Guardia di finanza e i funzionari del ministero degli Interni che a fine agosto avevano fermato in acque internazionali un barcone colmo di clandestini e l’avevano riaccompagnato in Libia. Sembra esserci, almeno a una prima lettura, una corrispondenza fra l’ideologia che circola nelle email e l’azione di alcuni procuratori. Del resto è da almeno trent’anni che Magistratura democratica teorizza fra un convegno e l’altro posizioni barricadiere e si impone di fatto come forza di opposizione ai governi conservatori e alle politiche di centrodestra.
Sempre su Area si legge il dotto intervento di un professore - non un magistrato - che cita un celebre racconto di Thomas Mann: Mario e il mago. «Mario - spiega l’esperto - è un incantatore. Avvince il pubblico, ricorda il Duce o il Führer. La gente accorre da ogni parte. Svolge spettacoli che privano della libertà. Fra gli applausi. Un giorno si sente un colpo di pistola. Era Mario, il folle...». La morale è evidente: si tratta di un tirannicidio a fin di bene. E, fatte le debite proporzioni quel che si ricava è che Tartaglia sta a Berlusconi come la Resistenza sta a Hitler. «Sì, bellissimo, ricordo, incalzante», commenta Alberto Landolfi. E Paolo Giovagnoli scrive: «Se non la bellezza, forse la buona letteratura ci può ancora salvare».
Si possono scorrere le mail, ma si fatica a trovare qualcuno che prenda le distanze e ricordi a tutti che il Cavaliere non è propriamente un dittatore, non ha scatenato la Seconda guerra mondiale e non risulta nemmeno che abbia gasato qualche migliaio di oppositori. Ma, purtroppo, sappiamo che i pm di mezza Italia da quindici anni coltivano un grumo di inchieste sulle bombe del ’92 e del ’93. E quei magistrati collocano proprio il Cavaliere fra i mandanti delle stragi che hanno insanguinato l’Italia. Se si prende per vera anche solo per un istante questa lettura dietrologica della storia d’Italia tutto diventa lecito.
Persino alzarsi in piedi e tributare la standing ovation a chi ha lanciato la miniatura domenica sera. Di più: persino immaginare con sollievo un finale alla Thomas Mann. Un colpo di pistola che liberi l’Italia dal despota.Stefano Zurlo
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