E se l’Italia ormai pensasse solo al «particulare»?

Sono brutti tempi per la discussione pubblica. Quel che passa il convento per analisi politica sono perlopiù robuste dosi di «indignazione» accompagnate da frettolosi verbali di questura o sentenze di qualche toga arrabbiata, e spesso condite con dosi di falsa coscienza soprattutto sui temi della nostra Costituzione «perfetta» secondo spacciatori di ideologie come Stefano Rodotà o Gustavo Zagrebelsky o del sogno del federalismo europeo che anima l’implacabile iperuraneo moralismo di una Barbara Spinelli. Il tutto perfezionato dal fatto che la ragionevole gratitudine che obiettivamente si meritano Giorgio Napolitano e Mario Monti per avere gestito una fase difficile della storia italiana, è diventata base per ulteriore ottundimento del nostro senso critico.
È in questo senso che si leggono come un sorso di fresco pensiero libero, due saggi appena usciti: L’inverno di Monti. Il bisogno della politica di Giulio Sapelli (Guerini e Associati) e L’uomo del Colle. Il Quirinale, il ruolo politico, le forzature, la scelta del 2013 (Boroli) i Davide Giacalone. Sono due libri diversi: quello su Monti scritto da uno storico autorevole ma non conformista ha sapore quasi profetico, scorre le questioni italiane con occhio da osservatore dello Zeitgeist che inquadra dall’«alto» gli avvenimenti nella loro totalità sempre più nettamente globale e da questa deriva i giudizi particolari: più precisamente l’Italia è esaminata come Stato in cui il rapporto tra nazione e internazionalizzazione è stato storicamente sbilanciato verso questo secondo fattore, che dal novembre del 2011 è di nuovo clamorosamente prevalente. Lo scritto invece sul Quirinale è di un analista di politica, già giovane e poi più matura promessa del Partito repubblicano, infine editorialista, che poggia gli argomenti su fatti e testi esaminati con precisione: al centro della riflessione la crisi del ruolo della presidenza della Repubblica dopo che il sistema elettorale maggioritario ha sostituito quello proporzionale nel 1992, rendendo ancor meno equilibrati i rapporti tra esecutivo e Parlamento, e modificando così la base dell’azione quirinalizia.
Non sono tempi di grande ottimismo. Entrambi gli autori si chiedono se l’Italia sia ormai passata da una fase machiavelliana, quando l’autore del Principe cerca di costruire uno Stato nazionale autorevole, a una guicciardiniana, quando l’autore delle Storie fiorentine spiega come ormai si possa perseguire solo il proprio «particulare». «Tutto rischia di rovinarci addosso», scrive Sapelli. «Se tutto oggi appare immobile è perché milioni di persone, e purtroppo tanti giovani, credono che sia più conveniente cercare di conservare il passato piuttosto che conquistarsi il futuro», scrive Giacalone.
Nessuna acredine verso le personalità che hanno offerto una tregua alla politica italiana. Per Sapelli il premier in carica (che pure non viene considerata una personalità fortissima: «I viaggi all’estero del console Monti mi ricordano le pagine del Machiavelli su Lodovico il Moro che va dai francesi per sconfiggere i veneziani», scrive lo storico) è una sorta di dictator romano, soluzione d’emergenza per salvare la Repubblica, scelta di Napolitano da una parte «encomiabile», forse inevitabile, dall’altra non del tutto all’altezza di una situazione internazionale senza equilibri che avrebbe bisogno di più politica, non meno. Anche Giacalone riflette su come «gli applausi rivolti al presidente segnalano sincerità e passione, nonché riconoscimento di quanto di positivo sia il lavoro che svolge». L’opinionista si domanda anche se questo consenso non sia il segno che ci si debba avviare verso un futuro presidenzialista. Comunque non manca di criticare Napolitano perché «politicamente» sta svuotando «la politica», usando il Quirinale ai limiti della forma costituzionale.
Se cercate denunce trafelate di cattivi che rovinano la Repubblica, questi libri non fanno per voi. Così se volete leggere elogi sperticati a personalità al di sopra della politica salvatori dell’Italia.

Se invece volete disporre di vere analisi innanzi tutto sul peso del rapporto tra nazione e internazionalizzazione per l’Italia, o di disamine particolareggiate del ruolo che il Qurinale ha nella nostra storia, i due saggi sono perfetti.

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