Ecco la biblioteca di Einaudi

Quali autori leggere, in che edizioni comprarli e come catalogarli: le "dritte" dell’economista. Caos, alfabeto e colori: ogni libreria ha il suo ordine

Ecco la biblioteca di Einaudi

C’era un tempo in cui gli economisti non facevano gli astrologi in tv e neppure sparavano ai mostri dei videogame. Non è che fossero perfetti, anche loro sono finiti senza capire come e perché sotto un ’29. Il signore di cui stiamo parlando era davvero di un’altra razza. È uno che non scrisse più una riga sul Corriere della Sera e lasciò la cattedra perché non voleva avere nulla a che fare con il fascismo. Ha avuto molti allievi e tanti lo hanno tradito, sedotti dalle mode del tempo. Si è ritrovato a fare il governatore della Banca d’Italia e il presidente della Repubblica. La leggenda racconta che aveva pudore a sprecare mezza mela a cena. Si chiamava Luigi Einaudi. Magari di questi tempi non è di moda stare nel Pantheon del libertarismo, ma questa storia non parla propriamente di soldi o di economia, ma di libri. Meglio, racconta le ossessioni di un bibliofilo e i consigli di un liberale su come pensare e organizzare una libreria domestica.
Un paio di giorni fa la Fondazione Einaudi di Roma, presidente Mario Lupo e direttore scientifico Giovanni Orsina, ha annunciato che presto verrà pubblicata sul web l’opera integrale dell’economista piemontese, 30mila pagine scritte a mano e dattilografate in parte dalla moglie Ida. È un progetto che coinvolge la provincia di Torino e la famiglia di Einaudi, con il nipote Roberto. L’anteprima è in un cd rom, una sorta di guida alla lettura al pensiero di Einaudi. E qui c’è la sorpresa. Ci sono pagine e pagine su come il professore catalogava, sceglieva, ordinava, cercava, i libri. «Il criterio dal quale mi lascio guidare nella scelta direi si possa riassumere così: costituire gruppi di libri tra loro legati sia per essere usciti dalla medesima penna, sia per trattare del medesimo problema. E così, guardandomi in giro, vedo, a caso, il gruppo Adamo Smith e quelli Ricardo, Malthus e Sismondi, Ferrara e Pareto e Pantaleoni, Quetelet, Walras e Cournot, Le Play, Romagnosi e Gioia, ecc., ecc. Se bado agli argomenti, mi accorgo di aver messo insieme un discreto gruppo di libri sulla storia economica del mezzogiorno e su quella del Piemonte; un bel gruppo di inchieste inglesi su banche e moneta; un mazzetto interessante di libretti sul compagnonaggio; qualcosa sulla teoria della finanza e sulla storia della finanza in Italia, in Francia ed in Inghilterra; sui francesi del XVIII secolo; e, più disordinatamente, sui socialisti utopisti».
Einaudi va per affinità elettive. Non è razionale, ma suddivide per «umanità». Gli autori prima di tutto si devono parlare, quelli che si stanno simpatici fra loro devono stare vicini, o perlomeno devono condividere le stesse passioni. Tutta questa gente lui la conosce, magari l’ha cercata per anni e ognuno rappresenta un punto sulla mappa della sua conoscenza. La prima arte di un bibliofilo è però la caccia.
A Milano, in via Borgonovo, c’era la libreria di Alberto Vigevani, straordinaria figura di libraio antiquario. Qui il professore passava ore e ore a sfogliare cataloghi, parlare di libri, edizioni, prezzi, copertine o a scambiare doppioni. Ma non solo. Einaudi era un accanito cacciatore, di un’opera inseguiva tutte le edizioni, con scrupolo da filologo. Cominciava a scrivere lettere a personaggi vari e sconosciuti solo perché aveva fiutato una pista. Non comprava mai a caso. «Non acquisto libri nuovi, se non quando il nome dell’autore o la notizia avuta da chi non scrive recensioni di compiacenza mi persuade di non perdere tempo e denaro. Preferisco comprare, dopo anni, in antiquariato per 50 lire il libro esaurito e divenuto famoso che, nuovo, avrei acquistato per 10 lire. Risparmio così i denari dei libri inutili che avrei con quello rischiato di acquistare; e risparmio anche spazio negli scaffali e tempo nello sfogliare e leggere».
Non tutti i libri si acquistano perché rari o interessanti. Ce ne sono che ti danno la misura del tempo in cui vivi, indizi di ciò che ti accade intorno e se si raccolgono poi si perdono, pezzi di memoria. «Il libro di un ministro o di un uomo politico, di un industriale, di un agricoltore non si acquista per l’apporto alla costruzione della scienza, che per lo più è nullo: quel libro è un’azione ed interessa per l’influenza che può esercitare, a ragione od a torto, sulle azioni altrui. La storia dei movimenti sociali e dei provvedimenti economici si ricostruisce in notevole parte sulla base di libri, opuscoli e fogli stampati, i quali, ove non siano raccolti subito, è difficilissimo radunare dopo».
I libri vanno curati. Nel ’51 Einaudi invia una lettera al cavalier Pio Amori, mastro restauratore, per curare il volume La Venaria reale. «Non c’è nulla da fare all’interno \\\\ le sole riparazioni da fare sono quelle che si riferiscono al dorso della legatura.

Nessuna modificazione ma un rafforzamento della parte superiore sul piatto posteriore vi è anche un’unghiata, veda lei se si possa fare qualche cosa in merito». Ci sono due cose che Einaudi non sopportava. Comprare un libro che aveva dimenticato di avere. E i classici ristampati in edizioni sciatte ed economiche.

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