L'ultima fatica (ma non per i lettori, che ne godranno) di Nicola Apollonio ha prodotto due libri in uno. Il volume è una culla con due guerre sorelle, le quali sono raccontate ben distinte l'una dall'altra: I cannoni di Putin e La guerra di Hamas (Edizioni Espresso Sud, pagine 385, euro 18). Si tratta di una scelta che annuncia la peculiarità dell'opera: non si tratta di un saggio geopolitico, nel quale l'autore dispiega le sue teorie sull'ordine mondiale come dovrebbe essere. Qui prevale la realtà com'è. Ciascuna parte ha una storia, un pathos, protagonisti unici. Assediati quotidianamente da notizie su questi conflitti, crediamo di sapere tutto. In queste pagine accade come se fossimo paracadutati lì dove mai ci saremmo aspettati di buttare gli occhi, scoprendo campi di battaglia abbandonati, appunti buttati via da reporter frettolosi. Cose nuove insomma. Non c'è ideologia in Apollonio. C'è un filo che unisce i due libri. E non è solo il sangue versato, ma l'idea che alla fine la libertà vincerà, e che questa passione animi le parti giuste di questi conflitti, e cioè - Apollonio lo professa - l'Ucraina e Israele.
Su Israele non ho dubbi, personalmente. So bene anche che l'Ucraina è stata aggredita. Ma non credo che il bene e il male si possano separare come si fa tra il bianco e il nero. Ritengo che, a costo di compromessi sensati, si debba rinunciare per tempo al trionfo totale di una parte sull'altra, al fine di salvaguardare vite umane ed evitare un conflitto nucleare fatale per tutti noi, in presenza del quale, essendo tutti morti, la libertà finirebbe anch'essa all'inferno. Vorrei evitare di vedere (dall'aldilà) sventolare la bandiera della pace su un unico grande cimitero.
Sia chiaro: Apollonio è di una onestà cristallina. Non fornisce solo elementi che giochino a favore della parte per cui si schiera. Interessantissime le tabelle dove mostra la ricchezza dell'Ucraina (che per questo fa gola per ragioni non solo ideali a molte potenze, non solo la Russia cioè), e la corruzione che vi regnava e vi regna. Egli è angosciato per i bambini di Gaza, ma non dimentica certo il cinismo assassino di Hamas, e descrive l'antisemitismo delle nostre piazze. Ecco, senza accorgermene, ho spiegato il libro di Apollonio. È un breviario di guerra, tristissimo, angosciante, con episodi di eroismo luccicanti in pozze nere di orrore. Numeri e cifre, e umanità, che è anch'essa qualcosa di molto oggettivo, come la barbarie. E l'umanità è quella del mio grande amico Nicola.
Nicola dicevo. Apollonio è un signor cronista, rappresenta l'essenza di questo mestiere praticato con vigore adesso che ha 83 anni come sessant'anni fa. Ogni istante della sua esistenza è stato, è e sarà così. Vede e legge, ascolta e studia tutto proteso a un unico scopo: raccontare scrivendo. Per questo non ha alcuna specializzazione, come adesso va di moda: tipo quello bravo nel settore delitti, e poi sport, politica, storia, economia, gastronomia e mai uscire dai confini di quell'orto. Ovvio che ci sia un esperto che vagli e valuti, e dia un parere tecnico su un certo tema. Ma la specialità del gazzettiere è una sola: esserci. Ed esserci con tutto sé stessi. Ho in mente Enzo Biagi. Occhi, orecchie e penna. Altrimenti se esistessero ambiti prestabiliti e invalicabili di che cosa avrebbe scritto Indro Montanelli? Non certo di storia, di cui era orecchiante, eppure - con i dovuti controlli di qualità scientifica - sapeva spremerla con Roberto Gervaso e Mario Cervi per tutti i palati e i cervelli come nessun altro prima di lui. In caso contrario, cambiando ambito, e passando dalla tipografia all'autofficina, non potremmo portare l'auto guasta dal meccanico sperando che la sistemi, ma volta per volta dovremmo interpellare lo specialista di spinterogeno o carburatore, al quale sarebbe vietato aggiustare la cinghia di trasmissione. Ad Apollonio interessa tutto perché vuole raccontare tutto. Non è un geo-stratega, non ha frequentato la scuola di guerra. Ma guarda con stupore e trasmette la sua meraviglia, fornendoci poi gli strumenti che lui ha adoperato per capirne di più.
Così i suoi libri (sono ormai oltre venti) spaziano dalle esperienze locali allo sguardo sul pianeta; narrano della sua amata terra, il Salento, e dei conflitti asiatici. Quello che tiene insieme questa sua produzione è il tono, la voce, il passo, la forma particolare che prendono le pagine di questo autore. C'è un suo timbro, una ingenuità poetica che fa diventare familiare, coinvolgente, qualunque fatto vicino e lontano.
In tre volumi ha scritto l'opera più vasta sul Covid in Italia. Una saga sul virus che concluse con questa sentenza: «Fu così che il mondo tornò a respirare». Egli segnalò in tal modo la fine dell'incubo, almeno di quell'incubo. Recensendo quei testi mi presi la briga di segnalargli un nuovo incubo: «Intanto si è affacciato lo spettro sanguinante di una guerra continuamente alimentata da avidità e contrassegnata, in entrambi gli schieramenti, dal sacrificio senza scrupoli di decine di migliaia di soldati trattati dalle cronache con la considerazione che si dà a fili di paglia gettati nel falò.
Mi aspetto da Nicola una storia di questi sciagurati eventi bellici con la stessa cura meticolosa dei particolari, la commozione e insieme il disincanto». Ci tocca vivere in questo mondo. Finché lo si può raccontare, ci va ancora abbastanza bene.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.