Ecco l'ipocrisia del Pd: boccia il processo breve, ma fino a ieri lo voleva...

Il Pd tuona contro il processo breve, che oggi si vota alla Camera, ma dimentica che furono i Ds a proporre un ddl nel 2004 che prevedeva le stesse cose del ddl Alfano. Con un'eccezione: la prescrizione valeva per tutti i processi

Ecco l'ipocrisia del Pd: 
boccia il processo breve,  
ma fino a ieri lo voleva...

C’è uno scheletro in un armadio politico che è bene portare alla luce per ridare equilibrio al dibattito sulla giustizia. Uno scheletro chiamato processo breve. E l’armadio che dal 2004 lo nasconde è quello del centro sinistra. Precisamente dei Ds. Perché il 22 gennaio 2004, i primi a scrivere un ddl sul tema furono cinque senatori del partito allora guidato da Piero Fassino. Parliamo di Guido Calvi, esperto penalista, di Elvio Fassone, magistrato di Cassazione, di Alberto Maritati, ex procuratore aggiunto della Direzione nazionale antimafia, di Giuseppe Ayala, magistrato della procura di Palermo e collaboratore del giudice Falcone e di Massimo Brutti, responsabile giustizia dei Ds. Insomma gente che di giustizia ha molto da insegnare.

Ebbene, cosa prevedeva il ddl? Praticamente provvedimenti simili a quelli presentati dalla maggioranza attuale, come i limiti di tempo per ogni grado di giudizio: due anni per il primo grado, due per l’appello, due per il terzo, per un totale di sei anni di processo. E se i termini vengono sforati? Prescrizione, così come prevede la proposta del Pdl. Ma con un’eccezione abbastanza rilevante però. Nel ddl diessino la prescrizione riguardava tutti i processi, indistintamente, salvo che non fosse stato più conveniente all’imputato applicare la vecchia normativa. Al contrario del ddl attuale che prevede almeno l’esclusione dalla prescrizione per i reati più gravi come terrorismo, mafia, pedofilia, sequestro di persona, sfruttamento della prostituzione minorile, stragi.

Il testo di legge diessino era chiamato "Disposizioni in materia di prescrizione del reato alla luce del principio di ragionevole durata del processo" e prevedeva che "nei procedimenti in corso il termine di prescrizione sarà quello risultante in concreto più vantaggioso per l'imputato, a seconda che si applichi la disciplina vigente o quella di nuova introduzione”. Il ddl alla fine non andò in porto, ma siccome repetita iuvant, appena due anni dopo, precisamente il 26 luglio 2006, la senatrice Anna Finocchiaro, presidente del Pd, firmò il ddl numero 878 insieme a Brutti, Calvi, Casson e Pegorer. E cosa prevedeva questo nuovo testo? Le stesse cose del ddl diessino precedente. Prescrizione "in due anni, sia per la fase delle indagini preliminari, sia per ogni grado di giudizio". Due anni per il primo grado, due per l'appello, due per la Cassazione. A proposito dei procedimenti in corso, la senatrice Finocchiaro e i suoi colleghi scrivevano quanto segue: "Nei procedimenti in corso il termine di prescrizione sarà quello risultante in concreto più vantaggioso per l`imputato, a seconda che si applichi la disciplina vigente (quella in vigore nel 2006 e ancora oggi, cioè la legge Cirielli del 2005) o quella di nuova introduzione" (proposta appunto dai senatori Ds). In pratica una riproposizione identica del ddl dei Ds del 2004.

Ma non è finita qui. Cosa prevedeva il programma elettorale di Veltroni del 2008 in tema di giustizia? Al punto 4, intitolato “Diritto alla giustizia giusta, in tempi ragionevoli”, sono elencati una serie di provvedimenti speculari a quelli proposti dalla maggioranza di governo attuale e cioè: “razionalizzazione e accelerazione” del processo civile e del processo penale, anche attraverso la prescrizione dei reati; snellimento della macchina della giustizia, gestione manageriale degli Uffici giudiziari e processo telematico per eliminare gli infiniti iter cartacei. E nel programma c’era anche il richiamo alla classifica relativa ai tempi della giustizia, in cui l’Italia figura tra gli ultimi posti in Europa.

Ma poco importa se è proprio per ottemperare alla richiesta dell’Ue di “ridurre i ritardi in ambito civile, penale e amministrativo” che il ddl della maggioranza di governo trovi parte del suo fondamento. “Il punto è che, se Berlusconi non ci fosse (però, come sarebbe bello!), questa norma sarebbe l’unica ragionevole tra quelle che compongono il disegno di legge Alfano”: sono parole dell’ex magistrato Bruno Tinti che le scrisse sulle colonne de Il Fatto il 31 agosto 2010. “È per questo che qualcuno dovrebbe spiegare al Pd che accanirsi sull’unica norma ragionevole contenuta nel progetto Alfano non è molto intelligente”, conclude Tinti.

Insomma le parole del giornalista Tinti sono la prova provata che quello che conta è andare contro il presidente del Consiglio e strumentalizzare un provvedimento che, al netto del premier, che pure certo ne guadagnerebbe, migliorerebbe comunque la giustizia e i diritti dei cittadini. Anche quelli che votano Pd.

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