Ecco il «Wozzeck» che mise a disagio il potere nazista

Torna il celebre lavoro di Alban Berg

Era il 3 novembre del ’42 quando Wozzeck di Alban Berg, tratto dal Woyzeck di Georg Buchner, debuttò al Teatro dell’Opera. Una rappresentazione a sorpresa, in piena guerra, con il rischio di fare arrabbiare gli alleati tedeschi che avevano osteggiato il lavoro fin dal primo momento confinandolo fra la «musica degenerata». Si trattò di una sfida temeraria che vide Tullio Serafin sul podio e nei due ruoli principali Tito Gobbi e Gabriella Gatti. Ora Wozzeck, nato in Germania nel 1925, durante la Repubblica di Weimar, e successivamente «oscurato» dal governo di Hitler, torna al Teatro dell’Opera in un nuovo allestimento che debutta il 19 ottobre. Questo lavoro, storia della sofferenza dell’uomo moderno, come, del resto l’opera teatrale di Buchner, ha richiesto particolari cure, affidato alla direzione musicale di Gianluigi Gelmetti, alla regia di Giancarlo Del Monaco (autore anche delle scene e dei costumi), e a un cast internazionale formato dal baritono francese Jean-Philipe Lafont e dal soprano statunitense Janice Baird. L’Opera di Roma, nel dopoguerra, dopo che la musica di Berg si è liberata del cappio nazista, è tornata a Roma altre due volte, nel ’63 con la direzione musicale di Fernando Previtali, e nel ’73 con la direzione musicale di Nino Sonzogno. «Il lavoro di Berg - spiega Gelmetti - oggi ha tutto il rispetto che merita, ha abbattuto tutte le incomprensioni, figura a pieno titolo nei cartelloni di tutto il mondo, Germania compresa, classificato come il più classico testo del teatro musicale contemporaneo. La sua forza sta nel fatto che dramma e musica hanno forze proprie e indipendenti. Tuttavia sono inseparabili, il dramma rivela la musica, la musica contiene indicazioni essenziali per il divenire drammatico». Corrisponde così in modo completo all’«ideale del dramma musicale» di Wagner, amalgama perfetto di musica e teatro. «Lo mettiamo in scena senza i batticuori del ’42 - commenta Del Monaco, il quale ha lavorato a lungo nei teatri tedeschi come direttore e regista - ormai i tedeschi nei loro teatri non possono farne a meno, fedeli al fatto che costituisce il simbolo di una generazione e che si serve del linguaggio espressionista che meglio di altri linguaggi ha segnato un momento magico della loro arte.

Un punto di riferimento, dunque, essenziale, un manifesto della vera musica di teatro, secondo la definizione che lo stesso Berg si compiacque di dare». Altra curiosità è che l’opera di Berg è arrivata da noi ben prima del Woyzeck di Buchner (la prima italiana è del ’46 all’Eliseo).

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