Dopo la più che claudicante aquila tedesca, ecco materializzarsi il vilain petit canard, il brutto anatroccolo francese, nella vecchia fattoria europea. Dove tutti gli animali non sono uguali, soprattutto quando v’é da giudicare i conti pubblici.
Parigi potrebbe infatti sfangarla una volta ancora con Bruxelles, sebbene l’avvio di una procedura d’infrazione sarebbe il minimo sindacale nei confronti di un Paese dove la grandeur d’un tempo è solo una vecchia cartolina resa polverosa da numeri poco edificanti.
Le cifre diffuse ieri dall’Insee raccontano dell’arrampicata del deficit al 5,5% del Pil nel 2023, a 154 miliardi, in aumento rispetto al 4,8% del 2022 e al di sopra della stima del governo che indicava 4,9%.
Un’impennata destinata a complicare quel percorso di rientro dall’eccesso di disavanzo indicato nel «Projet de loi de finances» su cui, peraltro, la Commissione Ue aveva già inarcato il sopracciglio a novembre.
Sia perché il ritorno di Parigi sotto la soglia del 3% non è previsto prima del 2027, con un anno di ritardo quindi rispetto all’Italia; sia perché il sentiero di riduzione del debito appare assai stretto alla luce di quel 110,6% del Pil che segnala come fossero ottimistiche le previsioni (109,7%) dell’esecutivo guidato allora da Elisabeth Borne.
Numeri che inchiodano l’Eliseo a una realtà diversa da quella ipotizzata: meno entrate (solo un +2% rispetto al +7,4% del 2022) riconducibili al rallentamento dell’economia, con le imposte «praticamente ferme» (uno striminzito rialzo dello 0,3%) e il gettito Iva che si è quasi afflosciato (dal +7,6% del ’22 a +2,8%). La debole congiuntura, condizionata anche dall’atteggiamento aggressivo in materia di tassi della Bce, ha probabilmente consigliato il governo a non calcare troppo sull’azione di contenimento della spesa pubblica, ancora sopra i livelli pre-Covid. E poiché ogni cosa ha un prezzo, Parigi è finita sul filo del rasoio.
Servirebbe una cura d’urto. Ma ieri il ministro dell’Economia Bruno Le Maire (foto) ha subito tracciato una linea rossa sul terreno: «Possiamo sicuramente ridurre la spesa pubblica senza mettere le mani nelle tasche dei francesi».
Niente tasse aggiuntive, insomma. Peccato che questa Maginot rischi di essere facilmente perforata se il piano «no tax» non sarà sorretto dalla crescita economica.
Le stime non lasciano ben sperare: quelle dell’Ocse indicano che la Francia non andrà oltre un +0,6% quest’anno e la Banque de France azzarda un timido +0,9%. Con le elezioni europee alla porte, Emmanuel «Monsieur Arrogance» Macron dovrà inventarsi qualcosa per épater le bourgeois e convincere i francesi che non stanno per andare a sbattere contro il muro dello spread.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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