«Il nostro obbiettivo è azzerare gli infortuni sul lavoro», proclama Massimiliano Burelli, amministratore delegato di Acciai Speciali Terni, leader in Italia e in Europa nella produzione di laminati di acciaio inossidabile e in corso di cessione dal gruppo ThyssenKrupp all'italiana Arvedi. È possibile? gli chiediamo.
«È incerto il quando, non il se», conferma Burelli. Ma in Italia gli infortuni non accennano a diminuire: nei primi otto mesi di quest'anno l'Inail ha registrato oltre 700 vittime, che significa tre morti al giorno. «A zero infortuni noi arriveremo quando tutte le persone che lavorano in AST rifiuteranno il comportamento non sicuro, perché non sarà parte della loro cultura».
Lei è arrivato in AST nel 2016. Qual è il bilancio di questi cinque anni?
«I passi avanti si leggono nei numeri. Nell'ultimo anno fiscale (2020/2021), nei nostri stabilimenti che occupano 2.325 dipendenti sono stati registrati 13 infortuni, nessuno mortale, contro i 247 del 2000/2001. Significa che abbiamo avuto 235 infortuni in meno negli ultimi 20 anni. È stato un percorso regolare di miglioramento: siamo passati dai 208 infortuni del 2004/2005 ai 134 del 2007/2008, a 69 nell'esercizio 2008/09, a 32 nel 2014/2015. Oggi AST ha un'incidenza di infortuni 6 volte più basso della media della siderurgia italiana; significa che ogni nostro dipendente è sei volte più sicuro rispetto al settore. In quattro reparti abbiamo già raggiunto il traguardo degli zero infortuni, l'anno scorso erano tre».
Come avete ottenuto questi risultati?
«Abbiamo dato la priorità alla sicurezza in tutto quello che facciamo. Ogni turno di lavoro comincia con cinque minuti di briefing dedicati ad essa, perché l'impegno delle persone è fondamentale e noi cerchiamo di attivare questo salto culturale. Va considerato che uno stabilimento siderurgico è per sua natura un luogo pericoloso, che va conosciuto profondamente per essere affrontato e per il quale sono fondamentali le regole di comportamento e la concentrazione».
Sono coinvolti tutti i ruoli aziendali?
«Sì, anche dirigenti e manager, che a cadenze frequenti e regolari visitano tutti i reparti per condividere esperienze e portare proposte. E tutti indossano caschetto, scarpe antinfortunistiche, occhiali protettivi. È anche un modo per conoscere meglio lo stabilimento, con scambi di visite in linee e reparti diversi».
Partecipa anche l'amministratore delegato?
«Certamente. Ogni settimana faccio due ore di visita con focus sulla sicurezza e incontro le persone dei reparti. C'è uno spirito collaborativo e costruttivo».
C'è collaborazione anche con i sindacati?
«All'inizio c'è stato un atteggiamento leggermente sospettoso, ma le organizzazioni hanno capito subito che lo spirito era tutt'altro che repressivo e che gli obbiettivi di salute, sicurezza, ambiente erano un impegno comune. Cinque anni e mezzo fa abbiamo firmato un protocollo congiunto in Prefettura dove si enunciava che lo scopo di tutti è migliorare l'ambiente di lavoro».
Da allora come avete proceduto?
«I primi due cardini che abbiamo introdotto nel 2016 sono stati i 5 minuti dedicati alla sicurezza prima di ogni turno e l'uso costante degli occhiali di sicurezza, avvolgenti, che proteggono da impatti, polvere, vapore in qualunque momento, anche quando non ci si aspetta di essere a rischio. La reazione all'inizio non fu positiva, poi si capì che la via della sicurezza era quella. Creare e rispettare delle regole giuste. Poi ci siamo focalizzati sul comportamento e sul rispetto delle regole».
Ci saranno anche dei riscontri oggettivi.
«Racconto spesso di un operatore che alle tre di notte, spostandosi su un
percorso complicato, nel salire un gradino inciampò su ostacolo dal quale spuntava del tondino di ferro. Il risultato fu uno zigomo rotto: ma se non avesse indossato gli occhiali, avrebbe perso l'occhio e forse anche la vita».
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