Il Fondo interbancario per la tutela dei depositi (Fitd) si sarebbe diviso sulla dote di Carige richiesta da Bper, ma la porta potrebbe non essersi chiusa definitivamente. Il consorzio che riunisce oltre cento istituti di credito ha rispedito al mittente la proposta di acquisto sull'88,3% Carige formulata martedì da Bper, che subordinava l'operazione a una iniezione da un miliardo di euro nella banca genovese.
Il «no grazie» è arrivato ieri sera, con quattro giorni di anticipo rispetto alla scadenza posta a Fitd dalla banca modenese controllata da Unipol (con il 18,9%) per avviare una trattativa in esclusiva su Carige e, quindi, arrivare entro fine anno a un accordo vincolante. L'annuncio ha sorpreso Piazza Affari, considerando che difficilmente su simili operazioni i protagonisti si espongono senza prima aver sondato il terreno. In Borsa i titoli coinvolti sono scesi: Bper, che gli esperti vedono come candidata alla costruzione del terzo polo bancario italiano, è crollata del 4,2% a 1,78 euro, mentre Carige, dopo il rally degli ultimi giorni sulle attese dell'Opa a 0,80 euro prevista dal piano del gruppo modenese (con un esborso previsto di 71 milioni), ha perso il 2,3% attestandosi a 0,74 euro.
Il miliardo, secondo quanto spiegato dallo stesso Piero Montani, ad di Bper ed ex numero uno di Carige, servirebbe per alzare il livello di patrimonializzazione (Cet1) di Carige dal 9,5% al 13,6% dell'istituto modenese, fronteggiare gli esuberi e ripulire il portfolio crediti. «Fitd precisa che la manifestazione di interesse (di Bper ndr) presenta termini e condizioni da approfondire che, allo stato, in particolare per quanto riguarda il livello di ricapitalizzazione richiesto per Carige, non risultano conforme alle previsioni statutarie (art. 35) relative agli interventi del tipo in questione», recita una nota che sembra lasciare spazi di trattativa. Sarebbe tutta una questione di prezzo. La dote di nozze, secondo indiscrezioni, avrebbe fatto alzare qualche sopracciglio tra le banche più piccole aderenti al consorzio e gli istituti più in diretta concorrenza con Bper sul territorio. A sobbarcarsi i costi maggiori, secondo le stime di Barclays, sarebbero state Intesa Sanpaolo (per 221 milioni) e Unicredit (96 milioni) e Banco Bpm (54 milioni). A concorrere alla dote di nozze di Carige, oltre alla stessa Bper (48 milioni), sarebbero poi state anche Monte dei Paschi (47 milioni) - che a sua volta si avvia verso una importante ricapitalizzazione, su cui Roma è in trattativa con Bruxelles -, Credem (19 milioni) e Mediobanca (13 milioni).
D'altro canto, al fondo e in ultimo alle banche del consorzio, potrebbe costare anche il mancato disimpegno nella banca genovese. «Carige non ha bisogno di essere salvata, vorrei smitizzare questo. È una banca che non viene raccontata per quello che è il suo presente», ha detto ieri l'ad della banca ligure Francesco Guido.
Carige nel semestre ha dimezzato la perdita rispetto al 2020 (a 49,9 milioni da un rosso di 97,8 milioni registrato tra febbraio e giugno 2020) e registrato un balzo dei proventi operativi del 36,9% a 203,5 milioni, ciononostante, lo stesso documento avvisa che in uno scenario stand alone oltre il 2021 potrebbe essere necessario un rafforzamento del capitale.
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