A un anno e mezzo di distanza dal collasso (era marzo del 2023), è il momento riavvolgere la pellicola del Credit Suisse, soffermandosi su ogni singolo fotogramma. Perché l'obiettivo, è scovare i più piccoli dettagli nascosti tra le ombre della cellulosa; un po' come avviene nei migliori noir alla Orson Welles. A volerci vedere chiaro è la Finma, l'equivalente svizzero dalla Consob, che - scrive Reuters riprendendo il quotidiano SonntagsZeitung - ha ordinato un'indagine sui quindici mesi che hanno preceduto il salvataggio del Credit Suisse per mano della rivale storica Ubs.
I soggetti coinvolti hanno preferito non commentare ma, come nei polizieschi, nel corso dell'audit sarebbero stati interrogati una dozzina di dipendenti attuali e del passato dei due istituti di credito, affidando il lavoro allo studio legale Wenger Plattner. La mossa segue un documento riservato che Berna avrebbe recapitato al Credit Suisse nel febbraio del 2023 puntando il dito sulla gestione della crisi. L'obiettivo è ora capire come il vecchio management abbia gestito e comunicato il progressivo implodere della situazione tra fughe di dati, multe milionarie alle isole Bermuda e financo accuse di riciclaggio. Fino alla scena del crimine finale quando, era il 15 marzo del 2023, l'Arabia Saudita ha fatto capire di non avere alcuna intenzione di versare ulteriori risorse nella pancia del Credit Suisse, scatenando il panico in Borsa. All'epoca la Saudi National Bank, la maggiore banca commerciale del Paese, possedeva il 9,9% dell'istituto.
In particolare, l'indagine in corso comprenderebbe aspetti quali il momento in cui è apparso chiaro che il Credit Suisse non sarebbe più stato in grado di camminare da solo, il saliscendi della liquidità nei suoi forzieri, la solidità del patrimonio netto e, più in generale, dell'intera gestione finanziaria.
Accanto all'Autorità elvetica, è al lavoro per approfondire l'accaduto anche una commissione parlamentare: la relazione è attesa entro la fine dell'anno. A seguire il Parlamento potrebbe imporre requisiti patrimoniali più severi ai propri istituti, al fine di prevenire altre figuracce globali.
Oltre a lasciare una profonda ferita nel Paese, tanto orgoglioso della riservatezza nel credito quanto della qualità del suo cioccolato amaro, la débâcle del Credit Suisse ha falcidiato non solo gli azionisti ma ha fatto un falò delle particolari obbligazioni AT1 (additional tier 1), il cui valore è stato azzerato nell'ambito del salvataggio avvenuto sotto l'egida dello Stato.
Ore convulse fino a quando i rivali storici di Ubs si sono messi in tasca un accordo blindato per rilevare la banca per 3 miliardi di franchi, il triplo di quanto avevano offerto solo pochi giorni prima e che il Credit Suisse aveva respinto. Nel frattempo, pur di evitare una nazionalizzazione, la banca centrale elvetica aveva messo sul tavolo una linea di liquidità monstre da 100 miliardi.
Un fatto a cui sono seguiti una serie di ricorsi ancora pendenti in tribunale.
Anche perché l'intero salvataggio di Credit Suisse è stato orchestrato nel segreto degli uffici evitando, con una eccezione di legge, di passare dal voto dell'assemblea. La fusione, divenuta effettiva da luglio, porterà al taglio di ulteriori 3mila posti di lavoro. Abbastanza per la trama di un thriller.
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