Sull'acciaio mondiale si sta scatenando una tempesta perfetta: l'onda lunga della crisi immobiliare cinese. Se l'economia globale è appesa alle prossime mosse della Fed, la siderurgia vive - dagli Stati Uniti al Vecchio Continente - una fase molto difficile. Negli Usa la domanda di acciaio depressa dalla crisi immobiliare del Dragone ha schiacciato i prezzi del minerale di ferro al livello più basso degli ultimi due anni, crollando di oltre un terzo da gennaio. Questo ha cancellato complessivamente circa 100 miliardi di dollari di capitalizzazione per i 4 grandi gruppi minerari quotati: Bhp, Rio Tinto, Vale e Fortescue. Secondo i dati di Argus, il minerale di ferro destinato alla consegna a Qingdao (Cina) è sceso a 92,2 dollari per tonnellata, il livello più basso da novembre 2022, peraltro sotto la soglia chiave di 100 dollari oltre la quale la produzione ad alto costo inizia a diventare non redditizia.
«I mercati sono giustamente preoccupati che i prezzi del minerale di ferro possano mantenersi al di sotto dei 100 dollari per tonnellata nel breve termine», ha detto al Financial Times Vivek Dhar, direttore della ricerca mineraria ed energetica presso la Commonwealth Bank. Hu Wangming, presidente di Baowu Steel, il più grande produttore di acciaio al mondo, ha inoltre avvertito che il settore è in crisi, e vivrà un inverno «più lungo e più difficile» rispetto alle recessioni del 2008 e del 2015. A farne le spese è anche il Vecchio Continente usato da Pechino come valvola di sfogo. Nella prima metà del 2024, i produttori di acciaio cinesi hanno aumentato significativamente le esportazioni (+24% rispetto ai 53,4 milioni di tonnellate del periodo gennaio-giugno 2023) per trovare uno sbocco ai prodotti rimasti invenduti per la bassa domanda interna. Secondo l'analisi di Gmk Center, è solo l'inizio: le spedizioni cinesi di acciaio all'estero cresceranno almeno di un altro 27%, superando il record di 110 milioni di tonnellate registrato nel 2015. Un problema per i prezzi che, di conseguenza, sono in calo. Nel frattempo i prodotti cinesi stanno entrando nel mercato dell'Unione in grandi volumi, aggirando le quote e le restrizioni esistenti attraverso Egitto, India, Giappone e Vietnam. E le indagini antidumping, pur in aumento, potrebbero non bastare: nel 2024 sono state finora 14 contro le cinque dell'anno prima. Ma questo numero è ancora basso rispetto ai 39 casi del 2015 e del 2016, periodo in cui fu istituito il Forum globale sulla capacità in eccesso dell'acciaio (Gfsec) in un contesto di forte aumento delle esportazioni cinesi.
Lo scorso agosto la Commissione europea ha poi annunciato l'avvio di un'indagine antidumping sulle importazioni di alcuni tipi di prodotti siderurgici laminati a caldo provenienti da Egitto, India, Giappone e Vietnam. Ma il tempo stringe e il mercato europeo dell'acciaio è già zavorrato dall'inflazione persistente, dalle tensioni geopolitiche e dalla crisi manifatturiera.
Secondo l'ultimo Economic and Steel Market
Outlook di Eurofer, l'associazione europea dell'industria dell'acciaio, dopo un crollo (-3,1%) nel primo trimestre del 2024, il rimbalzo inizialmente previsto per l'intero anno è stato rivisto al ribasso (a +1,4% da +3,2%).
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