Ecco perché obbedire alla Merkel è un autogol

Meglio uscire dall'euro finché le imprese sono ancora in piedi. La Germania è il nostro avversario sull’export e le sue idee per l’Europa sono contrarie agli interessi italiani. IL SONDAGGIO: dentro o fuori l'Euro? VOTA

Ecco perché obbedire  alla Merkel è un autogol

Quante probabilità ha un esercito di vincere una guerra senza che gli venga detto chi è l’avversario? Prenderemmo la medicina che ci consiglia chi ci vuole male? Sono esempi paradossali ma si adattano bene al modo in cui ci ostiniamo ad affrontare la crisi. Diciamolo senza fare troppi giri di parole: la Germania non è il nostro alleato, la Germania è un nostro avversario commerciale e i suoi interessi sono ortogonali ai nostri. Anzi, sarebbe più corretto dire che è «il» nostro avversario commerciale numero uno e vedere Monti recarsi in Germania a ricevere un premietto dal compiaciuto ministro Schaeuble non aiuta. Per quale motivo noi dovremmo seguire le sue ricette e i suoi compiti a casa? Già che siamo in periodo di «Europei» possiamo dire che seguire le indicazioni tedesche è stato furbo, come se il nostro portiere si fosse buttato dove gli ordinava di lanciarsi il centravanti avversario. Qualche numero. Scorrendo l’ultimo rapporto Ice pre-crisi (2008) sul commercio estero scopriamo che i principali settori delle nostre esportazioni sono, nell’ordine: macchine e apparecchi meccanici (77 miliardi), metalli e prodotti in metallo (44), mezzi di trasporto (41), prodotti chimici e fibre sintetiche (34), apparecchiature elettroniche e ottiche (31).

Una fotografia che rivela una cosa un po’ diversa dall’immagine pizza e turismo che ogni tanto persino noi abbiamo di noi stessi e che mette in luce il motore zitto della nostra economia, quelle migliaia di imprese che, lontano dai riflettori, portano i nostri prodotti nel mondo importando ricchezza. Certo, non mancano né il turismo (30 miliardi) né l’abbigliamento (27) né l’alimentare (20 miliardi, anche se con un valore di importazioni superiore) ma per i primi cinque settori l’Italia dell’export è una specie di piccola Germania che, però, deve fare i conti con la concorrenza della Germania vera, direttamente esportatrice proprio per quegli stessi settori in cui agisce la nostra impresa. Per fugare ogni dubbio basta leggersi un interessante studio comparato prodotto da Banca Intesa nel 2011 (e che, quindi, non dovrebbe risultare ignoto al ministro per lo Sviluppo, Passera) che analizza le tipologie di prodotti all’interno dei vari settori e conclude che «secondo tutti gli indicatori considerati la Germania si conferma il nostro principale competitor». Capito?

Quando siamo entrati nell’Euro la storia che ci era stata venduta era un po’ diversa. Si parlava di unirsi per competere tutti assieme contro le megaeconomie emergenti, quando in realtà si stava disattivando la flessibilità del cambio lasciando mano libera a una più efficiente Germania per invadere con i suoi prodotti, in diretta concorrenza con i nostri, il mercato europeo. Sul loro mercato interno, poi, i tedeschi si sono affrettati a sostituire le importazioni dall’Italia (dall’8,2% del 2001 al 6,6% del2009) con quelle dalla Cina (dal 4,1% al 9,2%). E meno male che si doveva competere con gli altri. Nessuna scorrettezza, la Germania ha semplicemente sfruttato appieno la situazione nel suo esclusivo interesse utilizzando tutti gli strumenti disponibili. Inutile recriminare, potevamo inventarci qualcosa anche noi, ma non l’abbiamo fatto e, come nel Palio di Siena, conta chi vince, non come.

Che fare quindi? Dato per scontato che recuperare il gap di competitività verso la Germania, con la difficoltà aggiuntiva delle supertasse recessive e dell’enorme differenza dei costi di finanziamento tra le nostre imprese e quelle tedesche creatasi con lo spread è fantascienza pura, le possibilità si riducono a tre: 1) arrenderci e «farci annettere» invocando trasferimenti di denaro stile meridione (figuriamoci) 2) simulare una svalutazione tagliando tutti gli stipendi italiani del 20/25% (chiedere opinioni in merito alla Camusso) o uscire dall’Euro e svalutare finché le imprese sono ancora in piedi.

Per chi pensa che la svalutazione sarebbe una cosa orribile basti una domanda: ma se davvero svalutare è brutto, allora a logica rivalutare dovrebbe essere bello. Perché, allora, la Germania non lo vuol fare uscendo a sua volta «dall’alto»? Uno dei due sbaglia ed è lo stesso che ha sbagliato fino ad ora.
Twitter: @borghi_claudio

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