Finalmente! Dopo fin troppo tempo perso a guardare il contorno, Berlusconi si è deciso ieri a puntare il dito verso la falla da cui sta entrando l’acqua che ci sta facendo affondare. Le parole usate sono state un po’ arruffate dato che, ovviamente, è improprio parlare di «zecca» e di «stampare moneta» mettendo l’accento sulla semplice «produzione» della carta moneta. Le banconote fisiche infatti rappresentano solo una minima parte del denaro in circolazione. In teoria sarebbe perfino ipotizzabile non stampare proprio nulla, (basta chiedere ai sostenitori della moneta elettronica obbligatoria per tutti, Gabanelli in primis) e in ogni caso possiamo se mai pensare di «produrre una nostra valuta», non di certo «stampare euro» che, senza l’ok della Bce, sarebbe praticamente moneta falsa, però il punto è proprio quello di cui si è accorto ieri Berlusconi: non è più tempo di attendere, occorrono fatti. Già dallo scorso anno si sarebbero dovuti «pestare i pugni sul tavolo» per impedire che la Germania (nel luglio 2011, con l’appoggio dell’annebbiato Sarkozy) facesse passare la sua idea di imporre perdite ai detentori di titoli di Stato di un paese dell’Eurozona, avviando l’effetto domino. È tuttavia inutile recriminare, adesso abbiamo bisogno di soluzioni. Rapide. Monti, dopo averci propinato la medicina sbagliata e recessiva delle tasse, ci ha fatto intendere che era un passo necessario per poter autorevolmente e sobriamente pestare i famosi pugni. Dato che la recessione fiscale è prontamente arrivata e che la Germania non si è spostata di un millimetro dalle sue posizioni che si fa? Vale la pena di ricordarlo ancora una volta: le nostre mancanze del passato e del presente sono state gravissime ma poco hanno a che fare con la natura vera di questa crisi che risiede nell’errore di fondo sotto la costruzione dell’euro: tante economie differenti, ognuna con il proprio debito non garantito e una moneta uguale per tutti sottratta al controllo degli Stati. L’Irlanda non aveva certo un mercato del lavoro da riformare, il debito pubblico era bassissimo e la tassazione minimale. È bastato uno shock sulle banche per mandarla al tappeto. La vicina Inghilterra invece, grazie alla sterlina, mantiene il rating tripla A e può permettersi di pagare interessi vicini allo zero per il proprio debito. L’industria della Germania ha solo guadagnato dall’introduzione della moneta unica. I numeri della bilancia dei pagamenti parlano chiaro: dall’introduzione dell’unione monetaria le esportazioni tedesche sono esplose a fronte di crescenti deficit accumulati dagli altri Stati europei, a partire dai più deboli, non più protetti dalla funzione di riequilibrio della valuta. Ci avevano venduto l’idea che l’Europa unita sarebbe stata competitiva verso il mondo, quando in realtà si è rivelata una gabbia intorno a un ring di lotta tutti contro tutti, ovviamente stravinta dal più forte. Il guadagno dei tassi bassi dell’euro in Italia è andato allo Stato (che l’ha sprecato) ma è stato pagato dall’economia che ha perso competitività. Di certo non un ottimo affare. Un territorio con grandi differenze nella forza economica può funzionare solo con monete diverse o con trasferimenti interni di denaro, come accade fra il Nord e il Sud Italia, altrimenti il forte diventerà sempre più forte e il debole continuerà a immiserirsi. Quando nel ’92 andammo in crisi per motivi analoghi agli attuali, ci fecero credere che la svalutazione sarebbe stata un disastro. Ciampi e Amato difesero alla morte un cambio indifendibile con tasse assurde (chi c’era si ricorderà di certo il prelievo forzoso nottetempo dai conti correnti) e sprecando l’intero stock nazionale di riserve valutarie, salvo poi capitolare svalutando del 20%. Ebbene, come si evince dai dati delle bilance dei pagamenti, non solo non finì il mondo ma tornammo subito in surplus proprio a danno della Germania. Lo stesso Monti in un’intervista del ’93 dovette ammettere a denti stretti che: «La svalutazione ci aveva fatto bene» e che la temuta inflazione non aveva colpito più di tanto. L’asimmetria nell’area euro è ormai troppa. O si mette la Germania alla porta facendola uscire dall’alto o ci toccherà uscire noi dal basso.
Più passa il tempo e più imprese chiuderanno: condizione essenziale per essere competitivi è avere le imprese aperte. Se aspetteremo di non avere più nulla da produrre non ci saranno più nemmeno i tavoli su cui «pestare i pugni» ma solo quelli su cui firmare la resa.Twitter: @borghi_claudio
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