
Mentre la Cina ringhia in risposta alla decisione del presidente americano Donald Trump di imporre nuovi dazi, la nota agenzia di rating Usa Fitch declassa il suo merito di credito tagliandolo ad «A» da «A+» con outlook stabile per le preoccupazioni relative all'indebolimento delle finanze pubbliche del Paese e all'aumento del debito pubblico.
Un segno che, alla fine, Pechino non ha ancora del tutto risolto i problemi che si trascina dal Covid, con consumi interni che ancora stentano a decollare e una crisi immobiliare mai davvero risolta. L'agenzia di valutazione ha stimato che il Pil del Dragone debba crescere del 4,4% nel 2025, in frenata dal 5% del 2024. L'aumento dei dazi Usa, inoltre, è considerato molto più drastico del previsto e Pechino è destinata ad accusare un colpo più forte. Il ministero delle Finanze cinese, come spesso accade quando si parla di Paesi che vedono declassarsi il loro rating, ha contestato la decisione, accusata di descrivere una situazione «parziale che non riflette la realtà».
Il punto è che le ultime tariffe reciproche degli Usa non sono state incorporate nelle valutazioni, ha fatto sapere Fitch, secondo cui «c'è incertezza sul loro impatto».
Vale a dire, quindi, che gli effetti sull'economia cinese potrebbero essere anche più profondi delle stime. Il rapporto debito/Pil del governo, infatti, dovrebbe aumentare ulteriormente nei prossimi anni a causa delle tensioni commerciali con gli Stati Uniti, della domanda interna debole e della pressione deflazionistica.
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