Inflazione Usa rovente, la Fed nicchia

Ad aprile prezzi +4,2%, maggior rialzo dal 2008. La replica: "Solo una fiammata"

Inflazione Usa rovente, la Fed nicchia

Il «troncare, sopire» di manzoniana memoria è ben conosciuto alla Federal Reserve. E l'arte del minimizzare si applica a pennello all'inflazione, il babau che anche ieri ha spaventato Wall Street (-1,5% a un'ora dalla chiusura, con l'Europa in lieve rialzo), ma che a Eccles Building viene ancora liquidato con un'alzata di spalle. Sul mercato sono infatti rotolati come macigni i dati freschi sui prezzi al consumo, l'espressione immediata delle tensioni che nelle ultime settimane hanno avuto come protagoniste le materie prime e, di rimbalzo, l'ascesa dei rendimenti obbligazionari. Se nessuno si aspettativa una gelata in aprile, nessuno aveva neppure messo in conto una fiammata vera e propria. Che invece c'è stata, e in un modo così virulento come non si vedeva da 12 anni: un aumento del 4,2% su base annua e dello 0,8% mensile. Pur depurando l'indice dalle componenti più volatili del paniere (energia e alimentari) il surriscaldamento resta evidente: +3% su base tendenziale e +0,9% rispetto a marzo, il maggior incremento dal 1981, primo anno d'insediamento di Ronald Reagan alla Casa Bianca.

Il riferimento agli anni Ottanta non è casuale. Non fu solo il periodo della Reaganomics, ma pure un'epoca di inflazione galoppante stroncata dall'allora presidente della Fed, Paul Volcker, a colpi di rialzi dei tassi (fino a toccare il 20%). Anche a costo di condannare il Paese alla recessione. Sull'onda di quel mix di carenza d'offerta, speculazione e accaparramento che ha mandato alle stelle, per esempio, le quotazioni del rame, del legname e dei semiconduttori, molti temono che ora la storia si possa ripetere. La paura è legata a un ritiro anticipato delle misure di stimolo, soprattutto dopo che il segretario al Tesoro, Janet Yellen, non ha escluso un giro di vite al costo del denaro.

L'intera filiera dei prezzi, giù giù fino al consumatore finale, è in tensione. Senza contare che c'è un'inflazione non rilevata dalle statistiche ufficiali, come quella legata ai prezzi delle case, aumentati del 18% nell'ultimo anno. Nonostante un'azienda che ha rincarato i propri prodotti difficilmente faccia poi marcia indietro, la banca centrale Usa ha un solo refrain da proporre: la transitorietà del fenomeno. Ripetuto anche ieri dal suo vicepresidente, Richard Clarida: «Sono rimasto sorpreso, questo numero era ben al di sopra di quello che io e gli analisti esterni ci aspettavamo, ma mi aspetto che l'inflazione torni al nostro obiettivo di più lungo termine del 2% nel 2022 e nel 2023». Insomma, la buriana passerà.

Eppure, proprio il dato sul mercato del lavoro di aprile, ritenuto «deludente» da Clarida, è un possibile innesco di ulteriore inflazione, visto che la difficoltà della Corporate America nel reperire manodopera potrebbe essere risolta alzando i salari.

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