Cavalier Rosario Rasizza, presidente di Assosomm e ad di Openjobmetis, il costo del lavoro è ancora uno svantaggio competitivo per il nostro Paese?
«L'Italia, da sempre, è uno dei Paesi industrializzati con il costo del lavoro più elevato. Non è solo un discorso relativo al carico fiscale che rende elevata la differenza tra il salario lordo e quello netto, ma è una questione che riguarda soprattutto la parte contributiva che determina un ulteriore incremento dei costi. Se si riuscisse a immaginare una modalità che consentisse di abbassare il costo del lavoro, le aziende potrebbero valutare più liberamente l'inserimento di nuovo personale, ma la situazione economica è ancora incerta e quindi si tende a rinviare quando non proprio a soprassedere a questo tipo di decisione».
Quali sono stati gli effetti del Jobs Act?
«I dati Istat rivelano che il Jobs Act ha prodotto un incremento di contratti a termine. Sono 1,5 milioni i contratti attivati per questa tipologia. Se l'azienda non ha certezza circa le prospettive future, non può pianificare e, dunque, non può assumersi il peso di un'assunzione stabile con tutti gli oneri che comporta. Piuttosto si orienterà sulle tipologie di contratti a tempo determinato oppure opterà per i contratti di somministrazione che offrono analoghe garanzie e tutele, ma che consentono una maggiore flessibilità nell'utilizzo della forza lavoro. Nel corso dell'ultimo Workshop Ambrosetti di Cernobbio, al quale ho preso parte, più del 50% del panel ha dichiarato che quest'anno il fatturato sarà migliore di quello del 2016. Il sentiment è positivo, ma bisogna capire se la crescita è strutturale».
Il governo, in vista della prossima legge di Bilancio, sta pensando a una decontribuzione per i neoassunti under 32. Secondo, lei è la strada giusta da percorrere per incentivare l'incremento dell'occupazione?
«Credo che il taglio dei contributi si limiterà a qualche punto percentuale perché una riduzione più decisa avrebbe un impatto notevole sui conti pubblici. Bisognerebbe piuttosto ragionare sul salario lordo pagato dalle imprese e il netto percepito dai dipendenti. C'è troppa differenza. Un maggior reddito disponibile avrebbe invece positive ricadute sull'economia perché se ne gioverebbero i consumi».
Pare di capire che la decontribuzione non sia un metodo che incontra la sua piena condivisione.
«Gli incentivi creano un effetto doping sul mercato del lavoro. A fine anno scadranno le decontribuzioni triennali per i lavoratori assunti nel 2015 con il Jobs Act. Ci si ritroverà con 1,5 milioni di contratti più costosi per dipendenti che non godono più delle tutele dell'articolo 18. Occorre, quindi, pensare a soluzioni di ampio respiro. Il rischio, infatti, è che i nuovi incentivi beneficino coloro che hanno usufruito di quelli in scadenza. Personalmente, avrei ipotizzato sgravi rivolti a ogni imprenditore che conservi la nuova forza lavoro per due anni o che regolarizzi le posizioni dei dipendenti in modo tale che si potesse creare nuova occupazione. Ora il rischio è che le nuove misure sostituiscano quelle che volgono al termine senza avere ricadute in termini di posti di lavoro».
Come valuta questa dinamica dal suo punto di vista di presidente di Assosomm?
«Le agenzie per il lavoro hanno il dovere di tutelare il dipendente e di non illuderlo che un'assunzione sia a tempo indeterminato. Osservo che in questa nuova dinamica del mercato che prevede che un rapporto possa concludersi con il licenziamento, ci sarebbe lo spazio per affidare alle agenzie per il lavoro l'incarico di ricollocare la persona rimasta senza contratto. È un compito che già svolgiamo e nel quale abbiamo acquisito notevole esperienza».
Si tratta del compito che il Jobs Act ha affidato all'Anpal, agenzia pubblica per le politiche attive del lavoro.
«Non conosciamo ancora il vero lavoro che sta svolgendo l'Anpal ed è presto per giudicarla. Se volesse interloquire con noi, potremmo confrontarci, ma per ora non c'è stato nessun contatto».
Intanto, gli strumenti sostitutivi dei voucher sia per le famiglie che per le aziende hanno registrato un sostanziale insuccesso.
«La gatta frettolosa fa i figli ciechi. Si è avuta troppa premura di eliminare il vecchio strumento (per evitare il referendum abrogativo; ndr) facendo di tutta l'erba un fascio e il risultato è stato un incremento del 116% per il lavoro a chiamata. Ma, soprattutto, molti lavoratori o sono rimasti o sono tornati nel nero. Invece il governo e tutte le parti sociali avrebbero dovuto sedersi a un tavolo per trovare una soluzione.
Gli abusi sono odiosi e devono essere puniti in maniera severa, ma per alcune tipologie di lavoro il voucher rimane uno strumento perfetto: ad esempio, l'esigenza temporanea di una babysitter. Il voucher, tuttavia, veniva usato nelle linee di produzione o nei centralini delle imprese. Questo tipo di abusi ne ha causato la soppressione e credo che anche Confindustria ne abbia preso coscienza».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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