Il Sistema Moda mette in campo sette proposte per preservare l'occupazione in un momento di crisi in un settore che conta 600mila dipendenti. Gli emendamenti alla legge di bilancio 2025 proposti vanno tutti nella direzione di preservare soprattutto il mondo delle piccole e medie imprese italiane della moda, che sono in tutto 60mila (di cui 40mila artigiane) con un giro d'affari di ben 100 miliardi di euro che porta circa 25 miliardi nelle casse dello Stato. Alcuni dei sette emendamenti hanno superato il primo scoglio. «Un segnale molto positivo, ora che c'è l'ammissibilità, vanno sostenuti», ha rimarcato il presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana, Carlo Capasa (in foto). La moda è la seconda industria del Paese e le proposte della Camera Nazionale sono rivolte a ripristinare un tessuto che rischia di sfilacciarsi senza interventi del governo. Spicca, pertanto, la richiesta di consentire la cassa integrazione ordinaria di otto settimane - in deroga per il periodo d'imposta - per quelle imprese con meno di 15 dipendenti che risultano da anni versare in condizioni di forte sofferenza. Le criticità sono molteplici: dall'inflazione globale con l'impennata dei prezzi delle materie prime, allo stallo attuale della Cina, passando per la crisi del comparto immobiliare. In aggiunta, le difficoltà di quest'anno del settore lusso in Borsa «non lasciano presagire un recupero immediato dell'industria della moda». Uno degli emendamenti riguarda invece il riversamento spontaneo del credito d'imposta relativo alle annualità 2015-2019 per le attività di ricerca e sviluppo delle aziende della moda, pensato per garantire allo Stato un «significativo» recupero di gettito in quanto si evita un enorme contenzioso e allo stesso tempo si scongiurano le chiusure di molte Pmi. «Non dobbiamo dimenticare - ha precisato Capasa - che le aziende in questo momento storico sono costrette ad operare in una fase di incertezza che rischia di apportare nefasti effetti sui bilanci». Complessivamente le sette proposte comportano un impegno di 185 milioni di euro, con la cifra più significativa (100 milioni) legata alla proposta di partecipazione in capitale delle aziende del settore. «Oggi non esiste un piano industriale per la moda, ogni anno mettiamo una pezza.
La coperta è corta, ma il compito di chi governa è farla bastare», ha aggiunto Capasa che mette sul tavolo anche il forte ritardo sul tema della digitalizzazione delle Pmi, la filiera va strutturata, come già fatto da Spagna, Francia e Portogallo.
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