Quella su Mps è una partita a poker tra Roma, Bruxelles e i principali istituti finanziari europei. E l'esito è tutt'altro che scontato. L'Europa ha dato tempo fino a fine 2021 al Tesoro per gestire l'uscita del Mef dal 68 per cento del capitale detenuto in Rocca Salimbeni. Ma potrebbe trattarsi di una missione impossibile o quasi. Perfino per Mediobanca, a cui stato affidato l'incarico di valutare le alternative strategiche.
La banca guidata da Guido Bastianini non è una fidanzata ideale: nel primo semestre ha perso 6 milioni al giorno (per un totale di 1,09 miliardi) e prevede di rimanere in profondo rosso fino al 2022. Ma non è solo questo a spaventare gli eventuali partner. Il rischio principale risiede nelle incertezze legate alle reali necessità di capitale; nelle richieste di 10 miliardi di danni legati a controversie legali in corso e, infine, nella concreta esecuzione dell'operazione Hydra M, ovvero la scissione di 8,1 miliardi di Npl (crediti incagliati), un passo essenziale per poter immaginare un futuro matrimonio per la banca senese.
In settimana la Bce ha concesso il via libera preliminare alla scissione del pacchetto di Npl a favore di Amco, società al 100% in mano al Tesoro. Francoforte tuttavia ha sottoposto il suo assenso a tre condizioni: l'emissione di un bond tier 2 da 250 milioni; l'autorizzazione del Tesoro a sottoscrivere fino al 70% degli strumenti (emissioni Tier 1) necessari a ripristinare il rispetto dei requisiti patrimoniali di Rocca Salimbeni (il Decreto agosto ha già stanziato 1,5 miliardi) e l'impegno di tre banche d'affari a far sottoscrivere ai privati, a condizioni di mercato, almeno il 30% delle emissioni. Si tratta di vincoli complessi da gestire. I costi delle emissioni (il Tier2, secondo Equita, costerebbe il 10%, mentre il Tier1 il 15%) penalizzerebbero ulteriormente la redditività della banca già ridotta al lumicino. Quanto alla richiesta di un coinvolgimento di investitori privati nell'operazione potrebbe non incontrare i risultati sperati considerando i risultati delle ultime operazioni sul capitale effettuate dal gruppo. Rimane poi il dubbio sul bisogno di capitale della banca non quantificato: per riportare in sicurezza l'indice di patrimonializzazione Cet1 (dal 9,7% all'11,55) in seguito alla scissione di Npl secondo gli esperti occorre un miliardo. Tuttavia, tenendo presente le perdite e il rischio legato alle controversie legali, il fondo attivista Buebell ipotizza una necessità di capitale di quattro miliardi.
In questo scenario c'è chi sogna un matrimonio all'italiana sull'onda del risiko innescato dall'offerta di Intesa su Ubi. Eliminando dal campo Unicredit che finora ha sempre dichiarato di non avere alcuna velleità di shopping in Italia, tra i progetti più caldeggiati dal Tesoro ci sarebbe quello di una aggregazione a due con Banco Bpm (dove è tornato Andrea Rovellini, ex vicedirettore di Mps) o, meglio ancora, a tre coinvolgendo anche Bper. Non manca chi vede mire straniere su Rocca Salimbeni con in pole position la francese Axa dove è approdato Marco Morelli ex ad di Mps come presidente esecutivo di Axa Investments Managers. Osservate speciali anche Credit Agricole e Bnp Paribas.
Al di là dei desiderata tuttavia nessuno sembra propenso a precipitarsi a Siena in assenza di condizioni adeguate e magari di una dote. Almeno per ora. Inizia così a farsi strada anche l'ipotesi che il Monte possa rimanere in mano pubblica, nazionalizzata, con una funzione precisa di bad bank pubblica come ipotizzato da Carla Rocco, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario.
L'esponente del Movimento Cinquestelle punta infatti, come dichiarato alla stampa, a una realtà nazionale che partecipi alla gestione di beni interamente nazionali: sia i crediti problematici da acquistare sia il risparmio da impiegare per finanziarne l'acquisto. Il progetto potrebbe poi inserirsi nel più ampio dibattito sulla creazione di una bad bank europea.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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