Negozi in crisi, in 10 anni chiuse 70mila attività

Un quadro preoccupante. Attività in caduta libera nei centri storici delle nostre città e nei piccoli paesi. Crollano del 12% gli incassi dal 2008 al 2019

Negozi in crisi, in 10 anni chiuse 70mila attività

Commercio online e recessione sono le principali cause. Poi le tasse e la burocrazia che strangolano i commercianti. Tutto ciò sta facendo chiudere i battenti agli esercizi commerciali tradizionali. Addio caro negozio di quartiere. In un decennio o poco più, tra il 2008 e il 2019, hanno tirato giù la saracinesca 70mila attività nel centro delle nostre città con un crollo del 12,1 per cento.

Sono gli ultimi dati pubblicati da Confcommercio. Anche i piccoli paesi si svuotano. In crisi quelli sotto i 15mila abitanti, i cui centri storici, spesso, restano deserti. Una comunità in difficoltà che non può fare altro che trasferirsi all’estero per lavorare. Sono soprattutto i giovani a essere maggiormente colpiti dalla crisi economica. Sono in cerca di opportunità. Qualcosa che purtroppo assume troppo spesso i caratteri del miraggio.

Questa è la radiografia di un sistema in panne in cui l’iniziativa privata non è incentivata. Anzi. Un sistema in cui fare impresa è pressoché impossibile. Inutile. In qualche caso rappresenta un vero e proprio suicidio. L’ultima, aggiornata ricerca sul commercio e sui consumi è contenuta nell’analisi “Demografia d’impresa nelle città italiane”, realizzata dall’ufficio studi di Confcommercio. Nel report vengono presi in considerazione 120 comuni italiani.

Ebbene dalla mappa viene fuori che sono i centri storici a soffrire di più (-14,3% contro l’11,3%). In particolare al centro-sud (-15,3%), con alcune eccezioni (Siracusa, Pisa). Il calo medio di attività commerciali è del 12,1%. Numeri che nascondono tendenze preoccupanti come la diminuzione degli ambulanti (-14%). E dati positivi come l’aumento di alberghi, bar e ristoranti (+16,5%). Per quanto riguarda l’analisi delle varie categorie, crescono nei centri storici negozi di computer e telefonia (+25,6%), così come le farmacie (+40,6%). In calo invece i negozi di libri e giocattoli (-25,9%), di mobili e ferramenta (-25,2%), di vestiario e calzature, (-17,1%).

Dal rapporto emerge, però, anche la crescita del settore ricettivo e della ristorazione. Alberghi, bar e ristoranti segnano complessivamente un +16,5%, pari a 49 mila nuove attività, tra le quali risulta molto forte lo street food e il take away. Stesso trend anche nei centri storici. Qui si registra una crescita del 20,9%. Il quadro è chiaro. Le città, ma anche i piccoli paesi, con sempre meno negozi, sono ormai una patologia. Anche se c'è qualocuno che non si arrende.

Alle criticità del settore si aggiunge anche l’epidemia di Coronavirus, di cui molto si parla sui giornali di tutto il mondo.

Gli effetti rischiano di mettere in ginocchio interi comparti economici del nostro Paese. Soprattutto il settore turistico e della ristorazione con impatti sul Pil di almeno tre decimi di punto. Ecco delineato un quadro preoccupante. Il ritratto di un’Italia in difficoltà.

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