Le websoft, da Amazon a Facebook a Google, le sole società che nel periodo di lockdown sono riuscite a fatturare miliardi, pagano al nostro erario vere e proprie briciole: il contributo fiscale versato dai giganti internazionali del web è infatti di 617 volte inferiore rispetto a quello pagato dalle piccole e medie imprese (pmi). Lo scrive la Cgia (il centro studi degli artigiani) secondo cui 15 filiali italiane delle star dei servizi digitali hanno pagato nel 2018, l'ultimo esercizio di cui sono noti i dati completi, 64 milioni di euro di tasse (su un fatturato dichiarato di 2,4 miliardi), rispetto ai 39,5 miliardi (su un fatturato di 926,7 miliardi) versati dalle imprese con un giro d'affari inferiore ai 5 milioni di euro.
Il Decreto Rilancio, a giudizio della Cgia, ha previsto finora un sostegno inadeguato alle pmi che, a differenza dei giganti internazionali, stanno registrando cadute rovinose del fatturato a causa della chiusura degli ultimi mesi e delle difficoltà legate alla riapertura, oltre a non possedere la liquidità sufficiente per reggersi in piedi. Per questo Paolo Zabeo, coordinatore dell'ufficio studi, parla di giustizia sociale e chiede l'introduzione di una web tax a livello europeo per far pagare il giusto anche alle ai colossi tecnologici. Grazie al boom dell'e-commerce - continua - le multinazionali del web presenti in Italia hanno aumentato i ricavi in misura esponenziale, mentre la grandissima parte delle piccole imprese è stata costretta a chiudere l'attività per decreto. E se ai primi il peso delle tasse continua a rimanere insignificante, per i secondi il carico fiscale ha raggiunto livelli non più sopportabili.
I risultati trimestrali delle WebSoft sono stati impattati positivamente dall'emergenza Covid19, con il settore guidato dai servizi di cloud, dagli abbonamenti e dall'e-commerce considera un report dell'area studi Mediobanca, pubblicato pochi giorni fa, che ha calcolato come l'utile netto di queste società sia aumentato nel trimestre del 14,1% a livello globale
Il fatto è, come ribadito in un ulteriore studio della Cgia, che le controllate italiane delle principali multinazionali del web beneficiano in Italia di un livello di imposizione fiscale del 33,1% rispetto a un carico fiscale pari al 59,1% dei profitti sulle spalle delle pmi, perché metà dell'utile ante imposte è tassato in Paesi a fiscalità agevolata.
E non occorre andare lontano per trovare un Paese che offra agevolata o comunque inferiore alla nostra: secondo l'elaborazione della Cgia su dati della Banca Mondiale in Lussemburgo (tra i Paesi scelti, secondo uno studio di Mediobanca, da PayPal), l'imposizione fiscale sui profitti commerciali di impresa è pari al 20,4%, a Cipro del 22,4% e in Irlanda (tra le mete scelte da Microsoft, Alphabet, Facebook, Oracle) del 26,1 per cento. Solo la Francia presenta una imposizione fiscale più elevata sui profitti commerciali di impresa pari al 60,7%, ma di contro per le incombenze burocratiche per pagare le tasse servono solo 139 ore rispetto alle nostre 238 ore.
Quanto all'Olanda, dove numerose imprese (come Fca) hanno deciso di traferire la sede legale, il tax rate si attesta intorno al 41% sugli utili commerciali di impresa ma sono bassissimi i prelievi sui dividendi, sulle royalty e sulle plusvalenze commenta la Cgia. In questo scenario, conclude la Cgia sarebbe opportuno che anche l'Italia come la Francia decidesse di escludere dai contributi statali le società con sedi nei Paesi che offrono una fiscalità di vantaggio.
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