Se lo Stato si ritira e la scaramanzia non basta più va riscoperta la «compagnia»

di Antonio Salvi*

L'Italia è un paese sotto-assicurato: gli italiani tendono ad acquistare l'assicurazione, e in particolare quella danni, principalmente quando esiste un obbligo (come per l'auto). Gli altri rischi restano a carico dei singoli individui i quali fanno principalmente ricorso a forme di «autoassicurazione». Le cause della scarsa propensione assicurativa degli italiani risiedono in parte nelle caratteristiche del nostro paese in cui sono forti forme di tutela degli individui da parte dello Stato. Ma la mano materna dello Stato è sempre più anchilosata.

In assicurazione, l'assicurato paga subito per un servizio che forse non avrai mai, anzi che quasi sempre si augura di non ricevere mai. L'inversione del «ciclo produttivo» delle imprese di assicurazione, non ne facilita lo sviluppo: la forte sensazione di ogni assicurato che non subisce sinistri è che ha speso inutilmente i denari del premio. I protratti tempi di liquidazione dei sinistri contribuiscono ad aumentare la diffidenza. È sull'evento sinistroso che l'assicurato misura l'opportunità dei premi fino ad allora pagati. E la sua stima non è astratta, ma scadenzata dal cronometro dei tempi di pagamento dell'indennizzo. Se ciò è vero ovunque, in Italia le lunghe attese sono motivo diffuso di forte insoddisfazione.

Gli assicurati con un animo liberale provano inoltre una istintiva repulsione verso forme di assicurazione obbligatoria. Il pagamento di un premio per la copertura responsabilità civile auto, ad esempio, è esattamente questo: una riduzione costrittiva del reddito dell'obbligato, quindi della sua libertà di disporre della ricchezza prodotta con fatica. E poi c'è la scaramanzia che ci fa allontanare ogni seria valutazione su traversie e difficoltà della vita, talvolta affrontabili anche utilizzando un contratto di assicurazione. Per non tralasciare il fatalismo, che ci spinge spesso ad accettare molti eventi evitando di programmare alcunché.

Il quadro appena definito è però mutato. I fattori che spingono in direzione di una maggiore consapevolezza del ruolo svolto dalle assicurazioni e a «rassicurare» gli assicurati riguardo la loro importante funzione sociale, sono almeno tre. In primo luogo, il settore assicurativo italiano è oggi fortemente aperto alle società assicurative di tutto il mondo. La possibilità che possano esservi cartelli e accordi per tenere alto il livello dei premi ai danni degli assicurati è diminuita fortemente. E, si sa, la maggiore concorrenza è la migliore tutela degli interessi dei consumatori. Si pensi che ormai nel totale del giro d'affari dei premi assicurativi pagati in Italia, il 30% finisce nelle casse di gruppi o società straniere.

Inoltre, il grado di concorrenza interna è molto aumentato nel corso degli anni. Basti pensare, ad esempio, che l'antitrust nel 2014 ha rimosso gli ostacoli al plurimandato (...)

(...) per gli agenti assicurativi aprendo cosi ampi spazi per un confronto concorrenziale nei rami danni e nella responsabilità civile per le autovetture. Da ultimo, è in atto una tendenza alla riduzione del peso opprimente delle clausole contrattuali vessatorie ai danni degli assicuratori e della loro possibilità di vedersi riconosciuti gli indennizzi. Una sentenza della corte di cassazione del 2015 ha compilato una vera e propria lista di condizioni generali che le compagnie non possono più «propinare» ai propri clienti, pena la loro nullità proprio in quanto vessatorie.

In conclusione, una serie di circostanze favorevoli dovrebbero indurre gli italiani a camminare sempre meno con un corno anti-malocchio in tasca e a sostituirlo invece con un più utile contratto di assicurazione.

*Preside Facoltà Economia

Università LUM Jean Monnet

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