La casa? Cosa accade in 3 anni ai proprietari

Il 30 giugno dovrebbe cessare il blocco degli sfratti. Ma tra tempi tecnici e trucchi dell'inquilino per chiudere la questione possono servire anche 3 anni

La casa? Cosa accade in 3 anni ai proprietari

Da tempo Confedelizia, la Confederazione italiana proprietà edilizia, chiede al governo interventi più incisivi sulla questione del blocco degli sfratti per morosità che sarebbe dovuto cessare come previsto il prossimo 30 giugno.

All’inizio dello scorso mese in una nota diffusa dalla storica associazione divenuta punto di riferimento per tutti i proprietari di immobili si evidenziava come non sia possibile "negare all’infinito il diritto di proprietà" altrimenti "migliaia di persone inizieranno a reagire come da tempo minacciano di fare, vale a dire smettendo anche loro - come lo Stato - di rispettare le regole, fiscali in primis". La questione riguarda migliaia di italiani che hanno affittato casa a inquilini che non pagano più l'affitto e che stanno subendo un sorta di esproprio del loro immobile ormai da oltre un anno a seguito proprio del blocco degli sfratti. L'ultima proroga, inserita dal governo Conte II nel decreto Milleproroghe, ha spostato il termine dell'esproprio al 30 giugno 2021. Ora, però, pare che la situazione sia ulteriormente cambiata. Con un emendamento approvato al decreto sostegni, il governo ha deciso di sbloccare solo parzialmente gli sfratti. Rimarranno congelati quelli le cui procedure sono state adottate dopo il 20 febbraio dello scorso anno.

Ma, come sottolinea il Messaggero, in questo modo il salvagente agisce anche per chi ha iniziato ad essere moroso ben prima della pandemia. In Italia il procedimento per arrivare a uno sfratto in Italia è molto lungo. Si va, infatti, da una media di un anno e mezzo nelle medie città a tre anni nelle grandi città come Roma e Milano. "Riottenere le chiavi di una casa occupata da un inquilino moroso richiede tempi mediamente lunghi. E dopo la fine del blocco il timore è che l'attesa si allunghi ancora", ha affermato Annamaria Terenziani del coordinamento legali di Confedlizia.

In base alla legge un'inadempienza viene considerata «grave» quando si salta il pagamento anche di una singola mensilità, oppure se non si versano rate del condominio che equivalgono ad almeno due mensilità del canone. In sostanza, però, i proprietari difficilmente avviano una procedura di sfratto alla prima inadempienza. "Generalmente- ha spiegato ancora l'avvocato Terenziani- si accumula un arretrato di cinque o sei mensilità prima di agire". Poi la situazione si complica perché ci sono tempi "tecnici" da rispettare. Il primo passo da compiere quando ci si rivolge a un legale è inviare di una "lettera di sollecito" all'inquilino nella quale viene dato un termine, in genere 15 giorni, per versare i canoni arretrati.

Se quest’ultimo ritira la raccomandata passano in tutto circa 20 giorni mentre se non lo fa allora si perde almeno un altro mese. Successivamente bisogna attendere la risposta. Se non ci sarà, si può avviare la procedura di sfratto. Ma di tempo ne serve. Per la notifica dell'atto di citazione servono 20 giorni, che diventano un mese considerando i tempi di ritiro. La prima udienza per la convalida dello sfratto viene fissata 40-50 giorni dopo dalla notifica. Ma potrebbero volerci anche più giorni se in mezzo capitano le feste di Natale o il mese di agosto. Non finisce qui. Perché secondo una prassi ormai consolidata, nell’udienza il debitore chiede quello che in gergo si chiama il "termine di grazia": in pratica 90 giorni entro i quali si impegna a pagare tutte le spese dovute. Un modo per prendere tempo. Come ha evidenziato l'avvocato Terenziani, in passato i giudici "valutavano preventivamente la capacità dell'inquilino di pagare, adesso invece il termine di grazia è concesso in automatico, quasi spinto dagli stessi giudici". Decorsi i 90 giorni quasi mai qualcuno si mette in regola.

A quel punto i tempi si dilatano ancor di più. Perché la nuova udienza è fissata dopo una ventina di giorni. In genere viene concesso un termine di 3 mesi, che poi possono diventare anche 5 o 6 a seconda delle situazioni, per consentire al debitore di lasciare l'immobile spontaneamente. Molti, però, non rispettano neanche questo termine. Si entra, quindi, nella fase esecutiva che prevede l’intervento dell’ufficiale giudiziario che, come primo atto, richiede di un accesso per valutare la situazione all’interno dell’abitazione verificando ad esempio, se ci sono minori, anziani, disabili. Dopo il controllo,in genere, rinvia di altri tre mesi. Scaduto il termine l'ufficiale può presentarsi con la forza pubblica per lo sgombero. Ma ecco che lo scenario può cambiare di nuovo. Perché se quel giorno l’ufficiale giudiziario verifica che nell’immobile nel frattempo è entrato un anziano, un disabile o un minore, deve decidere un ulteriore rinvio.

Dall’1 luglio almeno una parte delle procedure dovrebbe sbloccarsi. Si ipotizza, secondo quanto trapela da fonti del governo, di effettuare gli sfratti in ordine cronologico, partendo prima con le procedure più vecchie. Per i proprietari, però, i tempi sono destinati ad allungarsi ancora. Inaccettabile un per Confedilizia che ha evidenziato la gravità della situazione. Circa un mese fa Giorgio Spaziani Testa, presidente dell’associazione, in una nota ha ricordato che "da un anno e mezzo, migliaia di famiglie di piccoli risparmiatori sono umiliate da governi che impediscono con noncuranza l'applicazione di provvedimenti con i quali i giudici hanno ordinato, spesso dopo anni di mancati pagamenti e di costoso contenzioso, la restituzione ai proprietari dei loro immobili".

Lo stesso Spaziani Testa ha sottolineato che se non sarà al più presto ripristinata "la tutela del diritto (costituzionale) di proprietà, migliaia di persone inizieranno a reagire come da tempo minacciano di fare, vale a dire smettendo anche loro - come lo Stato - di rispettare le regole, fiscali in primis". E di quanto potrebbe accadere, ha inoltre chiesto il numero uno di Confedilizia, "di chi sarà la responsabilità?".

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