Gli extraprofitti irrompono nella trattativa per il rinnovo del contratto dei bancari. Ieri le parti hanno ripreso il confronto dopo la pausa estiva. E subito l'hanno rinviato. Ma la tassa che il governo ha introdotto con il decreto legge del 7 agosto scorso era il convitato di pietra: posto che il prelievo punta a tagliare gli utili delle banche, il tema potrebbe influenzare la trattativa per la parte economica. E che la questione sia nell'aria lo ha dimostrato l'esito dell'incontro, aggiornato per 11 e 12 ottobre. L'impressione è che tra tre settimane il quadro della nuova imposta, oggi ancora in attesa di ultimi emendamenti e passaggio in Parlamento, sarà stato definito, eliminando dal terreno ogni residua incertezza.
Il confronto vede tre soggetti in campo: da un lato i vertici dei sindacati del settore (Fabi, First-Cisl, Fisac-Cgil, Uilca e Unisin), dall'altro l'Abi (tramite il Casl, il comitato ad hoc guidato dalla manager di Unicredit Ilaria Dalla Riva) ma anche Intesa Sanpaolo, la prima banca italiana uscita dal Casl ma presente alla trattativa con il responsabile Affari istituzionali sindacali, Alfio Filosomi.
L'Abi ha presentato un documento di sei pagine nel quale si riassume la situazione del settore senza però entrare nello specifico né della parte economica, né di quella normativa. Una mossa che ha indispettito i sindacati, che aspettavano invece un riscontro sulla piattaforma unitaria presentata in primavera. Per le sigle l'Abi punta solo a guadagnare il tempo di cui sopra. Come in effetti fa sospettare anche la data riportata sul file del documento: risale al 26 luglio e non contiene alcuna nuova proposta. Tant'è che le varie sigle hanno contestato il metodo: un documento c'è già - è la linea di Lando Sileoni, leader della Fabi - ed è la piattaforma dei sindacati: «È quella la base sulla quale discutere il nuovo contratto». E a Sileoni ha fatto eco Fulvio Furlan per la Uilca: «Abi ha presentato un documento che approfondiremo e che però non risponde alla piattaforma unitaria». Per Sileoni, a questo punto, «è venuto il momento che Abi esca allo scoperto». Un riferimento agli istituti contrari al punto di partenza economico della piattaforma: quei 435 euro di aumento medio mensile (in tre anni) che ha già ottenuto il via libera da Carlo Messina, il numero uno di Intesa, la banca dove lavora oltre un quarto dei 270mila dipendenti bancari rappresentati dall'Abi. Un via libera, espresso pubblicamente nel giugno scorso, ma che al Giornale risulta confermato anche dopo il varo del Decreto sugli extraprofitti.
Contestare la posizione della prima banca italiana, e argomentare, non si presenta come un'operazione semplice. La questione sta tutta qui, a questo punto. Il punto è capire la posizione dell'Abi che, evidentemente, non è ancora maturata. In proposito il peso di Unicredit è importante anche perché il suo ceo, Andrea Orcel, non si era detto favorevole ai 435 euro.
Ma proprio ieri, ha detto ancora Sileoni, «Orcel, ha detto che la nuova tassa sugli extraprofitti non pregiudicherà i dividendi da 6,5 miliardi che il gruppo pagherà agli azionisti: di fronte a queste parole, sarà difficile non dare 435 euro ai dipendenti».
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