Tempi di spending review, per i dirigenti pubblici. Tempi di tagli, ma di stipendi pur sempre consistenti, se si considera che il tetto voluto da Matteo Renzi per far sì che i vertici della pubblica amministrazione guadagnino al massimo come il Presidente della Repubblica fissa il limite massimo a 238mila euro annui, non proprio un reddito da fame.
Tuttavia, per molti superdirigenti, i tagli saranno consistenti: fino a un quinto dello stipendio. Sino ad ora il tetto massimo era di 302mila euro all'anno, l'appannaggio del primo presidente di Cassazione. Adesso, come riporta La Stampa, sono almeno cinquanta i dirigenti pubblici che dovranno fare i conti con una riduzione delle proprie entrate.
Per i neo-nominati del governo Renzi le cose sono ancora tutte da decidere, tant'è che in molti casi i compensi non sono ancora noti: è così, ad esempio, per il nuovo segretario generale di Palazzo Chigi, Mauro Bonaretti, e per il vice capo di gabinetto di Pier Carlo Padoan, Alessandro Tonetti. Quello che è certo che Renzi non permetterà gli stipendi faraonici del passato e anzi si prepara ad intervenire anche sui dirigenti di nomina meno recente.
Ad essere chiamati in causa sono responsabili di dipartimenti e organismi di primissimo piano come il capo della polizia Alessandro Pansa, che oggi guadagna poco più di 300mila euro all'anno, o il presidente dell'Antitrust Giovanni Pitruzzella (302.900, come il direttore dell'Agcom Marcello Cardani). I tagli più consistenti, in proporzione, li subirà infatti proprio chi guadagna più di 300mila euro: oltre a Pansa, Pitruzzella e Cardani, bisogna ricordare il direttore generale dell'Agenzia delle Entrate Attilio Befera e il suo omologo dell'Inps Mauro Nori, come anche il Ragioniere generale dello Stato Daniele Franco. Tutti costretti a rinunciare a oltre 65mila euro, quasi un quinto dello stipendio.
Ma i tagli imposti dal governo non si fermano qui: nella fascia di chi guadagna tra i 238mila e i 300mila euro si collocano anche il capo della Protezione civile Franco Gabrielli (296.000 euro all'anno) e il vice segretario generale uscente di Palazzo Chigi, Luigi Ferrara (236.000 euro).
L'elenco continua poi passando in rassegna i direttori dei vari dipartimenti dei ministeri: alla Farnesina finiscono nel mirino il segretario generale Michele Valensise (301.320), come il capo di gabinetto e il direttore generale, che guadagnano entrambi più di 260mila euro annui. Al Viminale, invece, tagli in arrivo per il capo di Gabinetto Luciana Lamorgese, mentre al Tesoro sono tre i dirigenti che guadagnano più di 279mila euro e dovranno quindi rinuncia ad "appena" 40mila euro.
Tra i ministeri con gli incarichi più remunerativi c'è - o forse si dovrebbe dire c'era - quello dell'Agricoltura dove il 50% dei dirigenti di prima fascia guadagna più del Presidente Giorgio Napolitano: nella lista compaiono il presidente dell'agenzia sviluppo ippico, Francesco Ruffo Scaletta (251.679), e il capo dipartimento Sviluppo rurale, con 248mila euro. Nell'elenco ci sono poi i dicasteri di Salute e Giustizia, rispettivamente con tre e quattro dirigenti "fuori quota".
Certo, conclude il quotidiano torinese, se la stessa ratio venisse applicata anche agli organi costituzionali, i tagli sarebbero di ben altra portata. Il presidente della Corte Costituzionale Gaetano Silvestri perderebbe per esempio oltre il 50% dello stipendio (adesso guadagna 545.
286 euro all'anno), ma anche alla Camera - il Senato, governante Renzi, lo diamo già per abolito - il conto sarebbe pesante: il segretario generale di Montecitorio Ugo Zampetti percepisce quasi mezzo milioni di euro, e i suoi vice Aurelio Speziale e Guido Letta più di 358mila euro. Oltre 120mila euro in più rispetto al Presidente della Repubblica. Una cifra che già da sola costituirebbe uno stipendio di tutto rispetto, ma che a quanto pare è tabù anche per i rottamatori.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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