Tim rivoluziona l'assetto del capitale

Lunedì addio alla rete. Labriola: "Finalmente liberi di competere". Scatto in Borsa (+3%)

Tim rivoluziona l'assetto del capitale
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Ora è ufficiale: la cessione al fondo americano Kkr della rete fissa di Tim avverrà lunedì prossimo (1 luglio). Dopo il via libera senza condizioni dell'Antitrust era un annuncio atteso, ma è di fatto la conclusione di un percorso non privo di ostacoli che avvierà il rilancio dell'azienda. L'operazione «ci permetterà di ridurre il livello di indebitamento e di eliminare quei vincoli burocratici che non ci permettevano di competere con gli altri player; vincoli che erano anacronistici», ha affermato l'amministratore delegato di Tim, Pietro Labriola, ospite dell'evento sui 50 anni de Il Giornale agli Ibm Studios di Milano. «Dal 2 luglio non avremo più questi vincoli e diventiamo come tutti gli altri operatori», ha aggiunto. L'annuncio della data per il closing si è riverberato positivamente sul titolo di Tim che ieri ha chiuso la giornata con un balzo del 3% a quota 0,231 euro.

Ora, però, verrà il bello: venduta la rete, con un closing definito dallo stesso Labriola come «irreversibile», ci sono altre cose da sistemare a partire da un titolo che non rispecchia ancora appieno lo scenario mutato radicalmente negli ultimi mesi. L'idea, in questo senso, è di avviare un raggruppamento delle azioni con un rapporto che potrebbe essere di cinque vecchie con una nuova. Vale a dire che il titolo, ai prezzi di ieri, arriverebbe sopra la soglia dell'euro (1,15) per azione e questo ridurrebbe i vorticosi movimenti speculativi che si sono verificati negli ultimi due anni. Non bisogna dimenticare, infatti, che una parte consistente del capitale è in mano a piccoli risparmiatori (circa il 35%). Tra l'altro, sul capitale di Tim permangono una quota di quasi il 30% di azioni risparmio, che non esprimono diritto di voto ma possono attingere a maggiori dividendi. In tal senso, tra le varie ipotesi che si stanno vagliando, ci sarebbe l'idea di convertirle in ordinarie, un'operazione che richiederebbe il pagamento di un premio ai piccoli azionisti che le possiedono. A dar manforte al titolo, tuttavia, non sarà solo l'accorpamento delle azioni. La promessa di un ritorno al dividendo sarà un potente incentivo per gli acquisti, dal momento che il tesoretto da incassare dagli earn out riconducibili alla vendita della rete è ingente: si tratta, infatti, di 2,5 miliardi aggiuntivi che arriverebbero nel caso si verificassero alcune condizioni tra cui la principale sono le nozze tra la NetCo (la società che nascerà dopo lo scorporo della rete) con Open Fiber. Da non dimenticare l'offerta, in arrivo, dal ministero dell'Economia e dal fondo Asterion per i cavi internazionali di Sparkle, che dovrebbe valere 800 milioni. Sul piatto anche 3-400 milioni dalla valorizzazione delle quote residue di Inwit. Tutto propellente da destinare, in parte, al ritorno del dividendo per i soci, ma che - insieme al ritorno della redditività - potrebbero animare le idee di risiko nel mondo della telefonia mobile italiana. «Dobbiamo prima lavorare sui numeri», ha detto Labriola, «dobbiamo lavorare sul consumer, sull'enterprise e sul Brasile».

E il tam tam delle voci è già partito, tanto da stimolare gli scenari degli analisti: «Sul fronte consumer, riteniamo - scrive in un report Giorgio Tavolini di Intermonte - che un deal tra Tim e PosteMobile avrebbe minori rischi antitrust rispetto a una combinazione con Iliad a livello di concentrazione sia di quote di mercato mobile residenziale (Tim al 21,9%, PosteMobile al 5,9%, Iliad al 15,8%) sia di spettro e potrebbe garantire interessanti sinergie».

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