Tim, va in onda il riscatto senza rete

Le grandi manovre attorno al gruppo facilitate anche dalla svolta radicale del business

Tim, va in onda il riscatto senza rete
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Tim senza rete è una società in buona salute e il suo ruolo nel mercato delle telecomunicazioni non è necessariamente quello della preda. Mercoledì prossimo il gruppo guidato dall'ad Pietro Labriola presenterà il nuovo piano e i risultati del 2024 che potrebbero sorprendere positivamente. Il consensus degli analisti vede l'Ebitda after lease in crescita del 10,1% annuo a 3,671 miliardi rispetto alla guidance di un tasso medio annuo dell'8%. L'indebitamento netto after lease si dovrebbe attestare a 7,345 miliardi, in calo dagli 8 miliardi registrati al momento della cessione di FiberCop. Già dalle stime degli analisti si osserva, quindi, che Tim genera cassa sufficiente a coprire gli investimenti e che in grado di ripagarsi il debito. Questi sono i sintomi di una condizione prodromica alla distribuzione del dividendo, cioè della capacità di remunerare completamente il capitale.

La Borsa, ovviamente, finora ha guardato più alla cronaca che alla sostanza finanziaria considerato che circa la metà del 36% guadagnato dal titolo negli ultimi sei mesi è stata conseguita nell'ultimo periodo in seguito alle indiscrezioni sull'interesse di Cvc per il 23,75% di Vivendi e soprattutto dell'interesse di Iliad per la fusione della sue attività italiane con Tim. Ma proprio i conti in ordine, testimoniando la capacità di Labriola di reggere un gruppo privo della rete (considerato l'asset principale) sia sul mercato consumer che su quello enterprise, consentono di valutare con serenità gli scenari che possono prefigurarsi.

In primo luogo, bisogna considerare che a breve Tim sarà ancora più forte dal punto di vista della cassa visto che è in dirittura d'arrivo la cessione di Sparkle alla cordata Tesoro-Retelit per circa 700 milioni. Nel pool di finanziatori - tra i quali figurano Ing, Banco Bpm e Mps - Intesa Sanpaolo ha sostituito Unicredit. Tra non molto, quindi, si dovrebbe chiudere. In secondo luogo, se si giungerà alla fusione FiberCop-Open Fiber, per Tim è atteso un earn out che può raggiungere i 2,5 miliardi e, in più, lo Stato dovrà risarcire un miliardo di canone concessorio del 1998.

Considerata la base di partenza, un'eventuale integrazione con Iliad non potrà non tenere conto delle differente dimensioni: in Italia Tim fattura circa 10 volte il concorrente francese e conta 17mila dipendenti contro i circa mille dei transalpini che, per altro, non sono ancora arrivati a breakeven vista la forte concorrenza nel mercato mobile. Dunque, Tim non potrà essere terra di conquista e, in ogni caso, il governo non consentirebbe tagli indiscriminati al personale o uno spezzatino delle parti meno interessanti della compagnia in nome dell'interesse nazionale.

Lo stesso principio ha guidato l'esecutivo in generale e il ministero dell'Economia in particolare nei colloqui con Cvc. Il fondo è ben noto nei palazzi romani e i rapporti sono ottimi. In questo caso dipende da Yannick Bolloré, a capo di Vivendi, accettare.

Ultimo ma non meno importante l'interesse di Poste per Tim. La società guidata dall'ad Matteo Del Fante è fortemente interessata a espandersi nel mercato tlc dove è presente con Poste Mobile che ha una rispettabile quota del 4% in Italia. Diverse banche d'affari avevano studiato questa opzione proponendola a Del Fante, ma in questo caso il decreto per il collocamento del 13% di Poste ha ritardato la concretizzazione del progetto.

Ma l'interesse resta ed è vivo e sicuramente si arriverà a una valutazione definitiva. Il tempo, in questo caso, non è nemico. Come detto, Tim è in buona salute e quindi una sua eventuale acquisizione deve essere studiata con accuratezza.

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