«L'offerta è ostile, non concordata, non coerente con i valori impliciti di Ubi e dunque inaccettabile» e, soprattutto, Ubi vale almeno il 40% in più del prezzo proposto da Intesa Sanpaolo. Il Car, il patto di sindacato che controlla il 17,8% di Ubi, ha rispedito al mittente l'offerta pubblica di scambio (Ops) promossa dall'ad di Intesa Carlo Messina e non ha escluso la possibilità di aumentare la presa sull'ex popolare lombarda.
All'appello mancano le posizioni del sindacato degli azionisti di Ubi (7,6%), a cui aderisce la famiglia di Giovanni Bazoli (presidente emerito di Intesa) e del Patto dei Mille (1,6%) che si riuniranno lunedì. Se le valutazioni dei tre patti dovessero concordare, la strada per Intesa Sanpaolo sarebbe in salita: l'obiettivo di Ca' de Sass è infatti quello di arrivare al 66,67% di Ubi per poi procedere al delisting.
Repentina la reazione di Piazza Affari, dove Intesa Sanpaolo e Ubi hanno chiuso la seduta in calo rispettivamente del 2% a 2,55 euro e del 2,1% a 4,23 euro.
La proposta di acquisizione inviata da Ca' de Sass valuta Ubi 4,9 miliardi il 28% in più rispetto ai prezzi di chiusura di venerdì scorso, lo 0,6% del patrimonio netto e 12 volte gli utili attesi sul 2020. Una valutazione troppo bassa per i pattisti del Car. Ma non per S&P Global ratings che ha messo il rating di Ubi in «creditwatch positivo» preannunciando il rialzo dai giudizi sul credito (oggi BBB- sul lungo termine e A-3 sul breve) in caso l'acquisizione andasse in porto.
«C'è un patrimonio netto, basta vedere il bilancio» ha detto Mario Cera, membro del patto di consultazione Car a chi gli chiedeva quale fosse il valore del gruppo. Ma non è detto che un miglioramento dell'offerta sia ritenuto sufficiente. «L'offerta così è irricevibile» ha ribadito Giandomenico Genta, presidente di Fondazione CariCuneo precisando che gli azionisti non hanno ancora parlato dell'Ops con l'ad di Ubi, Victor Massiah.
Resta il fatto che in Piazza Affari le banche italiane valgono in media la metà del loro patrimonio netto (0,5%) con alcune eccezioni in negativo (Banco Bpm o il Creval valgono lo 0,35%) e altre in positivo (tra cui la stessa Intesa Sanpaolo che ormai in Borsa passa di mano allo 0,95% del proprio valore di libro). Quanto agli utili il rapporto medio del settore italiano è di una valutazione pari a 9,5 volte i profitti attesi per fine anno, quindi ben sotto i multipli dell'Ops.
A penalizzare le valutazioni dei titoli bancari italiani hanno finora concorso gli utili sotto pressione, il rischio Paese sui Btp in cassa e l'elevato ammontare di crediti incagliati. Ubi non fa eccezione, nonostante come ricordato dal Car sia «un banca sana, stabile, redditizia, ben gestita per competenze e risorse umane, competitiva e riconosciuta sul mercato di riferimento, realtà centrale per il sistema socio economico del Paese».
«Il prezzo è giusto» ha risposto Carlo escludendo eventualità di rilancio. «Non ci sono discussioni con i singoli investitori» ha aggiunto il banchiere.
Più in dettaglio in Car sono confluite le quote di Ubi detenute dalla Fondazione CrCuneo (5,9%) e della banca Monte di Lombardia (il 3,9%); cinque azionisti bergamaschi: la Polifin della famiglia Bosatelli 2,85%, la Next Investment Srl di Bombassei (1%), P4P Int e la famiglia Pilenga (1%), Radici Group e la famiglia Gianni Radici (1%), Scame Spa e la famiglia Andreoletti (1%); oltre la famiglia Gussalli Beretta di Brescia (1%). Soci che, qualora l'Ops andasse in porto, vedrebbero il loro peso ridursi al 2% circa.
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