Il trionfo della legge. Decine di poliziotti, pistole ad altezza d'uomo, avanzano con molta circospezione lungo la Settima Avenue, nel pieno centro di New York. Nel loro mirino non c'è un militante di Al Qaeda imbottito di tritolo, pronto a farsi saltare in mezzo alla moltitudine dei passanti: è un balordo. Il suo nome, ma soprattutto il suo cognome, suonano singolari: Darrius Kennedy. È un «afro» di 51 anni, con la bandana in testa. Nella zona lo conoscono bene: chiede qualche dollaro, veste sempre una maglietta con scritto «I Ninja hanno ucciso la mia famiglia». Fermato pochi minuti prima mentre fumava erba a Times Square, verosimilmente non l'unico, da quelle parti, si è rifiutato di tirare fuori i documenti. In compenso, ha tirato fuori un coltello e ha cominciato a minacciare, a insultare, a sfottere gli agenti...
Adesso la scena madre paralizza il centro della Grande Mela, tra centinaia di persone che urlano terrorizzate e che riprendono diligentemente con il telefonino. Il confronto tra legge e fuorilegge è sbalorditivo: sbucano poliziotti da tutte le parti. Molti a piedi, altri in auto. Si procede assurdamente a corteo: davanti il fumato che non smette di provocare, evidentemente in uno stato tale da non rendersi conto del disastro che sta montando, avanti, prendetemi, sparatemi, dietro la polizia a passo d'uomo, berciando i più svariati ordini e le più pesanti minacce: forza, metti giù quel coltello e arrenditi, non fare il pazzo, rischi grosso, guarda che saremo costretti a sparare. In effetti così risulta: esauriti i tentativi di soluzione pacifica, inutili persino gli spray al peperoncino, partono i colpi. Molti. Uno sproposito, rispetto al bersaglio. Il balordo fuori di testa stramazza sulla strada con il suo coltello in mano. La gente strilla e si nasconde tra le auto parcheggiate. Sembra un'azione di guerra, è solo l'esecuzione spaventosa di un ladro di polli, ammesso abbia mai rubato. Per una di quelle agghiaccianti contraddizioni molto americane, c'è pure una corsa parossistica all'ospedale Bellevue, dove medici e infermieri cercano disperatamente, purtroppo inutilmente, di salvarlo: in altre parole lo Stato che ha pagato gli agenti per sparare adesso paga molti quattrini per salvare quella stessa vita. A tutti noi, che non siamo americani, che abbiamo questo vizio atavico di un inguaribile umanesimo, declinato in tutte le sue più o meno sincere forme di pietà, a tutti noi sorge l'inevitabile domanda: ma considerarla prima, questa vita? Considerarla sacra, unica, inviolabile, come la considerano i medici e gli infermieri in ospedale, già là, lungo la Settima Avenue?
Sappiamo bene che cosa significhi mettere a confronto le due culture: è un'acrobazia senza rete. Di là violenza, stragi e sparatorie a getto continuo, con un certo numero di svitati che ogni tanto saltano fuori dalla loro vita banale per abbattere un certo numero di umani nelle scuole, nei bar, negli uffici. Eppure, sempre di là, domina l'intransigenza di una legge che non ammette sbavature, che pretende dai suoi uomini in divisa decisione e fermezza, in automatico, senza se e senza ma, perché difendere l'ordine e la sicurezza è la prima delle opzioni, costi quel che costi, costasse pure qualche deprecabile esagerazione.
Di qui è un po' diverso: siamo gli indecisi a tutto, i maestri del garantismo, nessuno tocchi caino, codice alla mano riusciamo ad essere più severi con le guardie che con i ladri.
Lo sappiamo, c'è una differenza abissale, un vero oceano di valori che divide il vecchio mondo dal nuovo mondo. Eppure, almeno questa volta, se lo lascino dire: persino in America, nella rigida America della lotta senza quartiere al crimine, un balordo resta un balordo. Anche se ha in mano un coltello, anche se fa l'idiota, anche se provoca e non si arrende.
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