L'ultima beffa sui marò: ora è l'India a boicottarci

Niente patibolo. New Delhi vuole 10 anni di galera per terrorismo. E per ritorsione nega l'ingresso a un nostro europarlamentare

L'ultima beffa sui marò: ora è l'India a boicottarci

Gli indiani vogliono applicare la famigerata legge antiterrorismo per i marò, ma senza la pena di morte. Si accontentano, sembra, di una condanna massima a dieci anni. Il ministro degli Esteri, Emma Bonino, si indigna, ma nel Kerala dove è iniziata l'odissea, i pescatori, manovrati dai comunisti, invocano il patibolo e scendono in piazza per protestare contro il governo indiano.

Nel frattempo è Delhi a boicottare l'Italia, invece che il contrario, non concedendo il visto all'europarlamentare Carlo Fidanza. L'esponente di Fratelli d'Italia è “colpevole” di aver protestato a Milano durante l'anniversario della festa della Repubblica indiana. Nel mondo alla rovescia, che da due anni Massimiliano Latorre e Salvatore Girone stanno vivendo sulla loro pelle, la mancata concessione, fino ad ora, del visto ad un europarlamentare italiano è la ciliegina sulla torta. «Dopo le proteste di Fratelli d'Italia in occasione delle celebrazioni organizzate dal Consolato indiano a Milano (la pacifica incursione alla serata di gala insieme a Ignazio La Russa e l'interruzione del concerto all'Auditorium), “casualmente“ lo stesso Consolato mi ha bloccato il visto per l'India» denuncia in un comunicato Fidanza, capo delegazione di FdI al parlamento europeo. A Delhi si è mosso anche il rappresentante Ue per l'arrivo di Fidanza e di Marco Scurria, un altro europarlamentare, che ha ottenuto il visto prima delle proteste contro i festeggiamenti indiani a Milano.

Secondo l'europarlamentare «il 27 gennaio, “casualmente” il giorno dopo la protesta all'Auditorium, sono iniziati i problemi. Dal consolato hanno detto che il Ministero degli Esteri indiano aveva bloccato la pratica, hanno cominciato a richiedere ulteriori informazioni e documenti “casualmente” smarriti, cercando di giustificare con la burocrazia una chiara volontà politica».
Contro il boicottaggio di Delhi, Fratelli d'Italia ha chiesto l'intervento del ministro degli Esteri, Emma Bonino. E la responsabile della Farnesina, ieri, ha drizzato la schiena: «Talune anticipazioni che provengono da New Delhi sull'iter giudiziario del caso dei nostri fucilieri di Marina mi lasciano interdetta e indignata». Lo ha dichiarato il ministro riferendosi all'applicazione del famigerato Sua Act, che paragona i marò a dei terroristi o pirati.

In India, nelle ultime 48 ore si sono susseguite indiscrezioni di stampa sulle accuse contro i marò, che dovranno essere presentate nella fatidica udienza di domani. Il portavoce del ministero indiano degli Interni Kuldeep Dhatwalia ha dichiarato all'Ansa, che sarà sempre la Nia, la polizia antiterrorismo, a presentare le accuse, «in base al Sua Act, ma senza invocare l'articolo che prevede la pena di morte». Un'ardita piroetta legale, che eviterebbe ai marò il rischio della forca, grazie ad un'accusa di violenze e non omicidio. Secondo la stampa indiana verrà applicato l'articolo 3. comma a-1 del famigerato Sua Act, che recita: «Chi commette un atto di violenza contro una persona a bordo di una piattaforma fissa o una nave che (...) mette in pericolo la navigazione sarà punito con la prigione per un periodo che può giungere fino a dieci anni». Il vicepresidente della Commissione Ue, Antonio Tajani, su Twitter ha però scritto: «É inapplicabile il Sua Act, anche senza l'ipotesi di pena di morte. Sarebbe un processo ingiusto».

Le anticipazioni della stampa indiana hanno scatenato la Federazione indipendente dei lavoratori del pesce nel Kerala, dove i comunisti controllano sindacati e associazioni di categoria.

I pescatori hanno manifestato davanti alla sede del governo locale a Trivandrum bruciando la foto del ministro dell'Interno, Sushil Kumar Shinde, che avrebbe deciso di salvare il collo dei marò e gridando slogan contro Sonia Gandhi, la leader politica di origini italiane. Secondo il rappresentante dei manifestanti, T. Peter, i marò meritano la pena di morte per aver sparato contro «pescatori disarmati senza alcuna provocazione».
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