Da partito democratico a partito dilatorio. Dopo mesi di discussioni sul cambiamento delle regole e dello statuto, alla fine il Pd decide di non decidere. In realtà, non ha nemmeno avuto la possibilità di decidere, perché mancava il numero legale necessario a cambiare lo statuto. "Abbiamo avuto un piccolo problema di numeri", ha chiosato Guglielmo Epifani. Sarà pure piccolo, ma se i democratici non riescono a trovare la maggioranza qualificata per modificare il proprio regolamento, figuriamoci cosa riuscirebbero a fare se dovessero andare al governo.
"La commissione propone di ritirare le modifiche allo statuto, anche perché non saremmo presenza del numero legale di maggioranza", ha spiegato Epifani. Di sicuro ci sarebbe (il condizionale è d'obbligo) solo la data del prossimo congresso: 8 dicembre, festa dell'Immacolata Concezione. Sarà dunque la direzione, e non l'assemblea, a fissare le regole democratiche. Quando? Il 27 settembre.
"Ieri abbiamo comunicato la data del congresso, oggi all’80% dei votanti si è approvato un documento di regole congressuale che anch’esso ha valore, per quanto riguarda le modifiche statutarie, è evidente che è subentrato un problema. Era stata raggiunta un’intesa ma attorno a quello si sono palesate delle riserve", ha provato a minimizzare Epifani. Il pomo della discordia che ha creato l'impasse è stato l’articolo 3 che elimina l’automatismo tra la figura di segretario e quella di candidato premier.
"Lo fanno apposta. Dopo quattro mesi di dibattito surreale, torniamo al punto di partenza. Sapevano che le regole potevano restare quelle che erano già e si poteva fare il congresso senza cambiare lo statuto. Ma che figura ci facciamo? Che cosa deve dire ora il delegato che è venuto fin da Melbourne?", ha tuonato, allargando le braccia, Pippo Civati. "Non ci sono ragioni politiche, solo personalismi, prove di forza, caratteri e debolezze umane, basta!", ha scritto la presidente del Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani.
"Siamo un partito democratico, se non c’è consenso a cambiare le regole, restano quelle che c’erano. L’Assemblea non era un rito finto. Non ha vinto nessuno, noi pensavamo fosse utile cambiare le regole, altri no ora faremo questa discussione al Congresso", più moderato il viceministro dell’Economia Stefano Fassina.
Il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, è andato via
sbattendo la porta. “È un grande pasticcio: a furia di cercare cavilli per frenare qualcuno e per la paura che qualcuno diventi segretario, hanno reso la situazione ingovernabile", ha denunciato Paolo Gentiloni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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