Morto Shevardnadze, ministro degli Esteri di Gorbaciov

Con lui agli Esteri l’Urss normalizzò le relazioni con gli Usa, mise fine alla cortina di ferro e e sciolse il Patto di Varsavia. Dal 1995 al 2003 fu presidente della Georgia

Morto Shevardnadze, ministro degli Esteri di Gorbaciov

Eduard Shevarnadze, ex ministro degli esteri di Mikhail Gorbaciov ed ex presidente della Georgia dopo il crollo dell'Unione sovietica, è morto all’età di 86 anni. A dare per primo la notizia è stata radio Eco di Mosca.

Nato nel piccolo villaggio di Mamati, in Georgia, nel 1972 fu eletto primo segretario del Partito comunista della Georgia a 44 anni. Lanciò, in quell’occasione, una campagna contro la corruzione e l’economia sommersa. Ma non si segnalarono successi. La sua nomina come ministro degli Esteri dell’Unione Sovietica arrivò del tutto inaspettata. Shevardnadze si creò l’immagine di ministro moderno, democratico, in forte contrasto con il funzionario di partito Andrey Gromyko, che aveva guidato gli esteri per 28 lunghissimi anni e si era guadagnato l'epiteto di Mister Niet (signor No), sempre rigidamente fedele alla linea ufficiale del Pcus.

Come ministro degli Esteri dell'Unione sovietica Shevarnadze fu uno dei protagonisti della fine della "Guerra fredda". Ottenne l'incarico nel 1985, dopo l'elezione di Gorbaciov al Cremlino. Soprannominato "la volpe", Shevardnadze è stato, con Gorbaciov, uno dei primi politici dell’Urss a perseguire politiche della Perestrojka, della Glasnost e della Distensione. E tra i primi a riconoscere l’imminente crollo dell’Urss.

D'accordo con Gorbaciov portò avanti quella che, scherzosamente, era stata definita la "dottrina Sinatra", che lasciava una certa libertà di azione ai paesi del Patto di Varsavia. Il nome traeva origine dalla canzone My way (A modo mio) del celebra cantante americano, a indicare il forte cambio di rotta di Mosca nei confronti dei paesi satellite, lasciati liberi di decidere del loro destino. In precedenza, invece, con la "dottrina Breznev", diametralmente opposta, Mosca aveva giustificato l'invasione della Cecoslovacchia (1968) e persino quella dell'Afghanistan (1979), che pure non faceva parte del Patto di Varsavia. L'Unione sovietica si era decisa a cambiare strada e a porre fine agli interventi armati per reprimere le proteste popolari nei paesi del blocco comunista.

Con questa mossa se da un lato veniva messo in soffitta il principio leninista di "solidarietà internazionalista" fra le forze socialiste mondiali, dall'altro si minava alla radice la solidità del blocco socialista rispetto al blocco occidentale, che militarmente restava compatto. A ben vedere fu anche questa una delle ragioni del "crollo" dell'impero sovietico.

Shevarnadze non condivideva le politiche economiche di Gorbaciov e temeva, inoltre, che sarebbe tornata la dittatura e che le liberalizzazioni effettuate sino a quel momento sarebbero state cancellate. Fortemente deluso da quella che definiva l’arrendevolezza" di Gorbaciov di fronte ai "dur"» del partito, annunciò le proprie dimissioni nel dicembre 1990 e, il 4 luglio del 1991, lasciò anche il Pcus per fondare il Movimento per le riforme democratiche. Poco dopo, nell'agosto 1991, alcuni esponenti conservatori del Partito comunista dell'Urss, d'accordo con alcuni settori dell'esercito, tentarono un colpo di stato per rovesciare Gorbaciov. Il tentativo però non andò a buon fine anche se diede una forte accelerata alla caduta dell'Unione sovietica. Era ormai chiaro, infatti, che qualunque tentativo "riformista" volto a tenere unito il blocco sovietico sarebbe stato vano.

Durante il fallito colpo di stato, nell’agosto del 1991, affiancò il presidente della Federazione Russa, Boris Ieltsin, nella denuncia del golpe. Nello stesso anno, il 19 novembre, tornò a capo del ministero degli Esteri, prima di dimettersi il mese seguente insieme a Gorbaciov e al resto del governo: fu così l’ultimo responsabile della diplomazia sovietica prima della dissoluzione dell’Urss. Ma per lui non fu la fine dell'impegno politico. Giunto nel 1992 in una Tbilisi (Georgia) devastata dagli scontri tra i suoi sostenitori e quelli del deposto presidente nazionalista Zviad Gamsakhurdia, Shevardnadze fu costretto prima a fronteggiare la reazione armata dei sostenitori del leader detronizzato, quindi a occuparsi della questione degli osseti che chiedevano il distacco dalla Georgia. Fu riconfermato presidente nel 1995 e, di nuovo, con un plebiscito (circa l’80% dei voti) nell’aprile del 2000. Tre anni dopo, però, fu deposto dalla cosiddetta "rivoluzione delle rose", che portò al potere Mikhail Saakashviki.

Shevarnadze era vedovo. La moglie Nanuli, giornalista, era morta nel 2004. La coppia aveva due figli e quattro nipoti. Il figlio Paata, avvocato, lavora presso la sede dell’Unesco a Parigi. La figlia Manana, lavora alla televisione georgiana. Mentre la nipote Sofiko Shevarnadze (nata nel 1978) è una giornalista attiva in Russia, prima per la tv e ora è una reporter per radio Eco di Mosca.

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