Perché le elezioni in Pakistan coinvolgono pure noi

Il grande Paese musulmano ospita testate atomiche ma anche le basi dei minacciosi integralisti talebani

Perché le elezioni in Pakistan coinvolgono pure noi

Oggi si vota. Ed è già un record, visto che da 66 anni nessuna legislatura arriva a compimento senza venir interrotta da un colpo di Stato. Ma le buone notizie finiscono qua. Sotto il simulacro rassicurante del voto la democrazia pakistana continua a nascondere il nulla. E Nawaz Sharif, il 63enne ex-premier dato per vincente non è certo un alfiere del riformismo. Nel '99 venne deposto da un colpo di Stato guidato dal generale e futuro presidente Pervez Musharraf. Ma in Pakistan finir vittime di un colpo di Stato non basta per guadagnarsi i galloni di liberale. Nawaz Sharif neppure lì desidera. Se i sauditi continuano a finanziarlo e lui resta l'unico candidato escluso dalle liste nere dei Talebani un motivo ci sarà. È il simbolo del potere islamico sunnita, un nemico giurato dei militari e uno strenuo sostenitore della necessità di tagliare i legami con l'America.

Quest'oltranzismo politico deve far i conti con l'imminente bancarotta finanziaria del Paese. L'unico strumento in grado di evitarla è un prestito da oltre cinque miliardi di dollari garantito dal Fondo Monetario Internazionale in aggiunta ai 7,6 miliardi già ottenuti nel 2008. Ma il navigato Sharif ha un vantaggio. Nessuno a Washington può permettersi di condannare alla bancarotta un Paese che da una parte custodisce oltre cento testate nucleari e dall'altra ospita e alimenta un movimento talebano in grado di minacciarne le basi militari. Un grattacapo ben raffigurato, a suo tempo, dall'ubicazione sfacciata dell'ultimo rifugio di Bin Laden costruito a pochi incroci dalla più importante accademia militare del Paese. Un rifugio icona dei profondi legami tra servizi segreti deviati, militari fondamentalisti e gruppi terroristici.

Quei legami ambigui e ambivalenti sono una spada di Damocle anche per uno Sharif visto come il fumo negli occhi dai generali. Da questo punto di vista la nemesi abbattutasi sull'ex generale e grande nemico Pervez Musharraf non aiuta il futuro vincitore. L'ex presidente rientrato dall'esilio per partecipare alle elezioni è stato prima dichiarato ineleggibile e poi relegato agli arresti domiciliari in virtù delle mai chiarite responsabilità nell'omicidio di Benazir Bhutto. La brusca eliminazione dell'ex rivale non è piaciuta al potente capo di stato maggiore generale Ashfaq Parvez Kayani che ha già fatto capire di non gradire il trattamento riservato all'ex collega. E in Pakistan ciò che non piace ai generali rischia di durare poco. Soprattutto in un Paese dove il livello endemico di violenza giustifica qualsiasi reazione. Solo tra gennaio e fine aprile violenza politica, assassini su commissione, attentati e operazioni militari hanno causato 2674 vittime. Tra i cadaveri eccellenti di questa carneficina, a conferma dei legami tra servizi segreti deviati e terrorismo, spicca quello di Chaudhry Zulfikar Ali, il magistrato che indagava sull'uccisione nel 2007 di Benazir Bhutto. Dell'eroina martire non resta, in compenso, nemmeno il ricordo. Nel 2008 il Ppp, il partito di Benazir, conquistò la maggioranza cavalcando lo sdegno per la sua uccisione. Grazie a quella vedovanza il marito Alì Zardari si scrollò di dosso il soprannome di mister 5 per cento e riuscì a farsi eleggere presidente.

Oggi il Ppp è un partito al lumicino rassegnato a regalare la maggioranza alla Lega Musulmana di Sharif. Zardari è invece un presidente spogliato di ogni potere la cui unica preoccupazione è contare i giorni che lo separano dal termine del mandato e della relativa immunità.

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