Questa volta è il popolo a fare un colpo di stato

Il 40% degli egiziani vive al di sotto della soglia di povertà. Il fallimento dei Fratelli musulmani mostra l'incompatibilità fra islam e democrazia

Ammettiamolo: non solo siamo disorientati, ma anche imbarazzati, se non sconvolti e persino in colpa per il repentino cambio di regime in Egitto perché mette in assoluto in crisi la concezione tradizionale della democrazia, nello specifico la tesi ideologicamente sostenuta come un atto di fede all'insegna del politicamente corretto sulla compatibilità tra l'islam e la democrazia, infine comporta la denuncia del ruolo arbitrario, controverso, talvolta violento finora svolto dall'Occidente in Medio Oriente nel nome della democrazia.

È definibile «colpo di stato» l'intervento dei militari dopo che 14 milioni di egiziani da settimane si riversavano nelle piazze di tutto il Paese e dopo la raccolta di 22 milioni di firme che rivendicavano le dimissioni del presidente Morsi condannandolo come espressione del regime dei Fratelli Musulmani e non tutore dell'interesse nazionale dell'Egitto? La televisione ci ha regalato lo spettacolo di una grande festa in cui milioni di cittadini hanno prima invocato l'intervento dell'esercito, poi esultato all'annuncio della destituzione di Morsi, quindi condiviso la scelta dei militari di promuovere un processo di riscatto dal «tradimento» della rivoluzione.

Quanto è accaduto ci dice non solo che le elezioni costituiscono semplicemente uno strumento della democrazia e che di per sé non sostanziano né esauriscono la democrazia, ma che la stessa democrazia è pienamente legittimata soltanto se l'eletto che assume il potere corrisponde fedelmente alle aspettative degli elettori. Nel caso specifico gli egiziani si attendevano da Morsi ciò che aveva loro negato Mubarak: il pane quotidiano, il lavoro sicuro, una vita dignitosa, un futuro per i giovani. Ci troviamo in un Paese in cui il 40% degli 83 milioni di egiziani vive al di sotto della soglia di povertà (con meno di 2 dollari al giorno) e in cui il 70% della popolazione sono giovani al di sotto dei 30 anni che ogni anno necessitano di 1 milione di nuovi posti di lavoro.

Ecco perché così come è stato un clamoroso abbaglio, frutto dell'etnocentrismo occidentale, esultare alla «Primavera araba» come se si trattasse di una sollevazione popolare per la democrazia e la libertà così come noi le concepiamo, risulta altrettanto ingannevole oggi scandalizzarsi e denunciare un golpe che avrebbe posto fine alla democrazia. Non stupisce, anzi rincuora, il fatto che fino a questo momento nessun governo al mondo abbia ufficialmente condannato quanto accaduto in Egitto, espresso solidarietà a Morsi o denunciato l'illegalità del regime transitorio che preparerà le prossime elezioni.

La destituzione a furor di popolo di Morsi corrisponde a un fallimento storico dei Fratelli Musulmani nel loro quartier generale (è in Egitto che nacque nel 1928 la più potente confraternita dell'integralismo islamico mondiale). Rivelandosi inadeguati a governare uno Stato moderno e incompatibili a interagire con uno Stato di diritto, i Fratelli Musulmani si sono auto-condannati ad essere fazione marginale nell'organizzazione complessiva del potere. Sono stati a tal punto faziosi e manichei nella gestione del potere da inimicarsi anche gli islamici più radicali, i salafiti e i jihadisti, che si sono accodati agli oppositori laici denunciando il «fascismo» dei Fratelli Musulmani. La verità è che proprio il fallimento dei Fratelli Musulmani, erroneamente paragonati alla Democrazia cristiana in versione islamica, conferma l'incompatibilità fisiologica tra l'islam e la democrazia, tra la sharia e lo Stato di diritto.

È verosimile che il contraccolpo porterà all'indebolimento dei Fratelli Musulmani in Marocco, Tunisia, Algeria, Libia e Siria. Proprio in Siria l'Occidente ha l'occasione storica di redimersi, dopo il crimine commesso con la guerra in Libia e il tradimento degli alleati Ben Ali e Mubarak. Si ponga subito fine al nuovo crimine in Siria, cessando di armare e finanziare i Fratelli Musulmani che combattono insieme ai salafiti e ad Al Qaeda, illudendosi che l'inevitabile sbocco della teocrazia islamica sia preferibile alla dittatura laica di Assad.

Piuttosto vincoliamo il nostro sostegno ai regimi militari laici con la promozione di uno sviluppo che consenta ai giovani di emanciparsi da disoccupati in micro-imprenditori, in modo da creare il ceto medio senza cui non potrà mai esserci un'autentica democrazia sostanziale. Perché negare agli autocrati arabi ciò che concediamo ai comunisti cinesi di cui ci siamo a tal punto infatuati da scegliere liberamente di assoggettarci e trasformarci in una loro colonia economica?

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