Rischiano il carcere duro le Spice girls russe che hanno suonato Putin

Chi disturba il manovratore, a Mosca e dintorni, passa un guaio serio. Anche se i disturbatori, in questo caso, sono un terzetto di giovanissime contestatrici punk colpevoli di aver inscenato al più una gazzarra di dubbio gusto in una chiesa della capitale per sbertucciare appunto zar Putin. Le tre (che rischiano sette anni di carcere e legittimamente puntano a dimezzare i danni) in apertura del processo che le riguarda hanno pensato bene di chiedere scusa a tutti coloro che si sono sentiti offesi dal loro gesto. Una furbata pensata a tavolino dal loro avvocato Violetta Volkova, visto che nei giorni scorsi l'arciprete Vsevolod Chaplin, 44 anni, capo del dipartimento per le relazioni con la società del patriarcato di Mosca, aveva ammonito che la Chiesa ortodossa non concede il perdono senza il pentimento. E tuttavia con un sottile, beffardo distinguo, le tre ragazzacce hanno mantenuto il punto: se errore c'è stato, ha detto in dibattimento la 22enne Nadezda Tolokonnikova, è stato un errore «dal punto di vista etico. Non siamo contro il Cristianesimo, le nostre motivazioni sono esclusivamente politiche». Un modo per pararsi le terga dalla formidabile incazzatura rimediata dal patriarca Kirill, che ancora fuma d'indignazione per il sacrilegio, e per rivendicare al contempo la battaglia contro lo zar del Cremlino. Maria Alyokhina, 24 anni, un'altra del terzetto, ha aggiunto: «Pensavo che la chiesa amasse tutti i suoi figli, ma sembra che ami solo coloro che amano Putin». E Yekaterina Samutsevich, l'ultima: «Il tema principale dei nostri testi non era certo la Chiesa ortodossa ma l'illegittimità delle elezioni Putin», ha puntualizzato; ma poi non ce l'ha fatta e ha sputato il rospo, puntando il dito contro l'appoggio dato dal patriarca Kirill a Putin. Gliela faranno pagare, questo è certo. E sarà un modo per saldare un vecchio conto, visto che le tre ragazze non sono nuove ad azioni dimostrative e hanno organizzato più volte blitz nella capitale, soprattutto in periodo pre-elettorale.
«Pussy Riot» si chiamano. Dove riot sta per rivolta e pussy per quella certa parte anatomica femminile che intuite. Sono punk: il gusto e l'eleganza sono aborriti. Devono rispondere di teppismo aggravato dall'odio religioso; «Ragazze, siamo con voi», gridava una folla di fan che ha fatto ala al loro passaggio. Facce tirate, pallide e dimagrite (sono in carcere da sei mesi) i sorrisi dispensati col contagocce, le tre «pussy» erano certo meno baldanzose di quando, chitarra e minigonne, intonarono nella cattedrale di Cristo Salvatore la preghiera punk «Madre di Dio, caccia Putin».
L'opinione pubblica è divisa. Ma la metà degli intervistati ritiene che una pena fra i due e i sette anni per una bazza del genere sia francamente esagerata.

É ciò che pensa anche la comunità internazionale, da Amnesty International che chiede l'immediato rilascio delle ragazze fino alla lobby della chitarra, Sting, Peter Gabriel, Red Hot Chili Peppers (di Bono Vox non si hanno notizie). Dmitri Medvedev, il premier, la pensa diversamente: «In alcuni Paesi il loro comportamento avrebbe potuto ricevere una punizione più severa». Forse pensava alla Cina, o all'Afghanistan dei talebani.

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